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Voi Bruti, Noi Liberati


Da due giorni, sugli ultimi scandali berlusconiani, piovono comunicati e dichiarazioni del procuratore di Milano, Edmondo Bruti Liberati. Il comunicato dell’altroieri anticipa le conclusioni di un’inchiesta in pieno corso, anzi appena iniziata (“la fase conclusiva della procedura di identificazione, fotosegnalazione e affidamento della minore è stata operata correttamente e non sono previsti ulteriori accertamenti sul punto”). Le dichiarazioni di ieri sfondano una porta aperta (“Perseguiamo i reati, le vite private non ci interessano”), pur prestandosi anch’esse a equivoci (e se la vita privata contiene reati?). È una prassi inedita quella adottata dal procuratore. Non che i magistrati debbano “parlare solo con le sentenze”, come ripete chi è rimasto all’età della pietra: nel villaggio globale della comunicazione, è opportuno che anche la magistratura illustri la propria attività per un elementare dovere di trasparenza. Se corre voce che si indaga su una persona per un certo reato, e non è vero, è giusto che la procura lo dica subito, sempreché non violi il segreto (che serve a tutelare le indagini, non le persone). Se una procura fa arrestare o perquisire Tizio, è giusto che spieghi il perché, soprattutto se Tizio è un personaggio pubblico. Se poi si varano leggi in materia giudiziaria, è giusto che i soggetti interessati (magistrati, avvocati, giuristi) esprimano il loro parere di tecnici, pro o contro. L’unica cosa che una procura non dovrebbe fare è anticipare l’esito di un’indagine: sia che questa stia portando a risultati, sia che stia finendo in nulla. Anzitutto perché, così facendo, si fornisce un’informazione prematura e parziale. Bruti Liberati può dire soltanto ciò che risulta corretto (“la fase conclusiva della procedura di identificazione, fotosegnalazione e affidamento” di Ruby, opera dei livelli medio-bassi della Questura). Così però lascia intendere che qualcosa risulti scorretto, illecito, prima e dopo la “procedura”, cioè quando entrano in scena il premier, il suo caposcorta, la Minetti, i vertici di Prefettura e Questura; ma, trattandosi di reati, non ne può parlare per non violare il segreto. Il risultato è che, anziché chiarire i punti oscuri di una vicenda peraltro chiarissima, ne oscura i punti chiari. E autorizza i soliti furbastri a cantare vittoria e disinformare: non è successo nulla, B. innocente, caso chiuso (naturalmente è una balla: le procedure risultate corrette non sono quelle del premier; ma il procuratore non può smentire sennò violerebbe il segreto). Come se la catena di menzogne e abusi di potere emersi in questa storia e candidamente ammessi dai protagonisti fosse acqua fresca solo perché non è (ammesso e non concesso che non sia) un reato. Il comunicato del procuratore sembra fatto apposta per venire incontro alla curiosa linea adottata dal capo dello Stato, così loquace quando c’è da raccomandare prudenza ai magistrati e così silente quando i fatti segnalano, diciamo così, qualche imprudenza del premier.

Il Quirinale ci fa sapere che attende “un atto della magistratura” per intervenire: quasi che occorresse un avviso di garanzia per giudicare quel che il premier ha fatto e persino quel che ha pubblicamente detto. Ma il comunicato è inopportuno anche perché divide gli italiani di serie A (i funzionari della Questura) da quelli di serie B (tutti gli altri). Quante volte un comune cittadino indagato o sospettato per reati anche gravi e infamanti deve attendere anche due o tre anni la chiusura delle indagini per sapere se sarà archiviato o rinviato a giudizio? Quante volte un giornalista, denunciato da un inquisito eccellente per aver raccontato le indagini a suo carico, deve attendere un’eternità per tranquillizzarsi sulla bontà del proprio lavoro? Perché invece gli agenti della Questura di Milano sono potuti uscire dalle indagini prima ancora di entrarvi, a mezzo comunicato stampa? Che cos’è, una nuova forma di rito abbreviato? E vale per tutti o solo per qualcuno?
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