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Ingroia: «La trattativa alle spalle di chi moriva combattendo la mafia» Presentazione del Libro


MILANO - Con Giovanni Falcone, insieme al quale inizia il suo tirocinio in magistratura, Antonio Ingroia, oggi procuratore aggiunto a Palermo, incontra il primo segno del suo destino futuro. Subito dopo, a Marsala (Trapani), si troverà accanto a un altro giudice: Paolo Borsellino. Con loro muove i primi passi: li affianca negli interrogatori, li osserva, ne studia i gesti e le parole, ne ricava una lezione risolutiva di impegno professionale e di passione civile. Poi le stragi di Capaci e di via D'Amelio. Nel suo nuovo libro («Nel labirinto degli dei, Storie di mafia e di antimafia», Il Saggiatore editore, 224 pagine, 15 euro), il magistrato parla della sua esperienza professionale partendo da Marsala, dove incontra l'uomo che, in qualche modo, gli ha cambiato la vita, Paolo Borsellino.

IL LIBRO - Da sostituto procuratore a Palermo, Ingroia, protagonista della lotta a Cosa Nostra, racconta al pubblico al Teatro Elfo Puccini di Milano, i luoghi in cui per antica tradizione, o per dannazione, si compie lo scempio della giustizia e del diritto. Penetra nei misteri dei delitti, delle stragi e delle connivenze, nella rete delle relazioni tra società criminale, società legale e poteri istituzionali. Inizia il suo cammino nel Labirinto degli dei, raccontato in questo libro. Come a comporre un funesto e dolente album della nostra storia, scorrono nelle sue pagine i volti e le testimonianze dei pentiti Tommaso Buscetta, Marino Mannoia e Antonino Calderone, fino ai collaboratori più recenti, come Gaspare Spatuzza o Massimo Ciancimino, figlio di Vito, sindaco del «sacco di Palermo» e uomo di Provenzano. Ci sono le reticenze e i silenzi omertosi dei mafiosi irriducibili. Da nascondigli ben mimetizzati, fanno la loro apparizione le figure di imputati 'eccellenti', i colletti bianchi annidati nei centri del potere economico, finanziario e politico. Un album guarnito della presenza di Marcello Dell'Utri, senatore plurindagato e condannato anche in appello con delle motivazioni che hanno soddisfatto il pm palermitano. Poi risponde alle domande del pubblico.

L'ESIBIZIONISMO MEDIATICO - Massimo Ciancimino sta esagerando con le apparizioni in tv? «La sua frenesia di esibizionismo mediatico è troppa» dice il pm ma ammette che la tv probabilmente gli sta salvando la vita. «Comunque - dice Ingroia - Ciancimino e Spatuzza sono stati dei sassolini che hanno innestato una valanga. Dopo di loro autorevoli uomini delle istituzioni (vedi l'ex ministro della giustizia Conso, ndr) raccontano a distanza di vent'anni fatti che hanno stanno cambiato il quadro dei fatti. Quadro che noi avevamo anticipato solo con delle intuizioni».

SPATUZZA - Poi il racconto dell'interrogatorio di Spatuzza. «All'inizio ero dubbioso. Quest'uomo, durante gli interrogatori, non mi guardava in faccia. Abbassava gli occhi. Non aveva un atteggiamento tipico da mafioso. Però ci ha fornito riscontri incontrovertibili. Ci ha condotto sul luogo preciso dove fu rubata la 126 usata nell'attentato a Borsellino, mentre Scarantino si dimostrò indeciso. Inoltre ci disse che quell'auto aveva un difetto ai freni che solo chi l'aveva usata poteva conoscere. E infatti si è certificata quella disfunzione nell'auto». Quindi sulla revoca della protezione al pentito per aver reso dichiarazione oltre i sei mesi previsti dalla legge lancia la sfida: «Due sono le cose. O quel provvedimento era sbagliato oppure era sbagliata la legge ed allora propongo un decreto che la cambi altrimenti sembrerà - ha aggiunto Ingroia - un provvedimento punitivo per un collaboratore che ha fatto nomi che non doveva fare».

BERLUSCONI - A chi lo accusa di essere una toga rossa e di essere ossessionato dal premier risponde serafico: «No, non credo proprio di essere ossessionato da Berlusconi né di essere una toga rossa. Lo si dice anche di altri magistrati oggi in modo del tutto infondato e pretestuoso». Nel libro c'è anche il racconto del viaggio a Roma per interrogare il premier a Palazzo Chigi. «Quella volta il Cavaliere si avvalse di un suo diritto cioè della facoltà di non rispondere. Perse, secondo me, un'occasione importante per dare un contributo alla verità. Gli lanciai una sfida, lui le ama, ma intervenne l'avvocato Ghedini che gli consigliò di avvalersi del diritto di non rispondere. Penso però che c'è ancora tempo per dare un contributo importante su quella stagione». E va via con il suo Ipad sottobraccio. Una moderna agenda rossa. Sorride: «Anche con la tecnologia si combatte la mafia».


Fonte: Corriere.it

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