Giù le banche, ma con prudenza. Il crollo in borsa delle banche irlandesi sta pesando sui titoli degli istituti bancari europei, anche se non siamo ancora lontani da fenomeni di panic selling. Le banche italiane perdono intorno all’1-1,5%, mentre i gruppi bancari inglesi, i più esposti, insieme alle banche tedesche, al debito irlandese, perdono intorno al 2%. Ma la tranquillità è solo apparente. Anche perché il salvataggio dell’Irlanda rischia di far esplodere, invece che alleviare, la crisi del debito europeo.
Gli investitori si stanno chiedendo chi sarà il prossimo della lista ad aver bisogno di aiuto. E tutti puntano il dito sul Portogallo.
“Il Portogallo ha un deficit di bilancio del 9% e non ha tagliato i budget di spesa. La sua economia è anemica da almeno dieci anni”, si legge oggi su Bloomberg. “Se sarà necessario salvare il debito portoghese, potrebbe crescere la pressione sui vicini spagnoli, che sono fortemente indebitati e hanno un prodotto interno lordo pari quasi al doppio dei PIL di Grecia, Irlanda e Portogallo messi insieme”. Una preoccupazione condivisa anche dagli analisti della danese Danske Bank, che chiama in gioco l’Italia: “Senza dubbio il prossimo paese che avrà bisogno di aiuto sarà il Portogallo, ma il rischio maggiore è che la crisi del debito si diffonda verso la Spagna e l’Italia”. Ma quali sono i rischi effettivi per la Spagna?
La situazione, giura il governo di Madrid, appare meno preoccupante rispetto a quella di Lisbona o Dublino. Ma le rassicurazioni non sembrano in grado di tranquillizzare pienamente gli investitori. Lo ha evidenziato l’ultima asta dei bond trimestrali con la quale Madrid è riuscita a piazzare sul mercato obbligazioni per 3,2 miliardi di euro contro i 4 o 5 previsti inizialmente. Il tasso medio accordato si attesta sull’1,7% contro lo 0,9% auspicato in precedenza. Un chiaro segnale della maggiore percezione di rischio. Lo spread (ovvero il differenziale di rendimento) delle obbligazioni decennali spagnole rispetto alle omologhe tedesche ha raggiunto i 223 punti base, il livello più alto dal massimo storico del giugno scorso.
Tutto, ad oggi, sembra ruotare intorno al piano di ristrutturazione dei conti. La Spagna è impegnata in una manovra di risanamento che dovrebbe condurre il rapporto deficit/Pil a quota 6% contro l’11% registrato l’anno scorso. Ma se gli investitori dovessero iniziare a dubitare seriamente dell’incapacità del governo di raggiungere questo traguardo la situazione potrebbe precipitare. E i dubbi, in tal senso, non mancano di certo. I piani di Madrid, ha ricordato il portale Fund Strategy, si basano su una prospettiva di crescita del Pil pari all’1,3% nel 2011, una stima che gli analisti di Lombard Street Research hanno giudicato troppo ottimistica a fronte del preoccupante tasso di disoccupazione (pari a circa il 20%).
L’aspetto più drammatico è però un altro. Nella crisi debitoria europea, le strategie di intervento dell’Unione sembrano seguire necessariamente un principio opposto rispetto a quello sancito dalla famosa (o famigerata) regola del “too big to fail” (troppo grande per poter fallire). In altre parole, i fondi di salvataggio a disposizione sono limitati. Buoni dunque per salvare Grecia, Irlanda ed eventualmente Portogallo. Ma del tutto insufficienti per intervenire a sostegno delle economie di maggior peso come nel caso della Spagna e dell’Italia.
Già, l’Italia. A rischio, come detto, ci siamo anche noi. E per capirlo, anche qui, è sufficiente dare un’occhiata al comportamento degli investitori. I maggiori fondi di investimento specializzati nei bond a basso e medio rischio, ricorda ancora Fund Strategy, sono tuttora esposti alle obbligazioni di Roma e Madrid ma in futuro potrebbero cercare una via d’uscita.
Paul Brain, gestore di Newton International Bond fund, non si fida delle ipotesi di crescita della Spagna e ha già ceduto le obbligazioni in suo possesso. I manager di Threadneedle Global Bond Dave Chappell e Martin Harvey, sono esposti ai bond italiani a due, cinque e dieci anni ma, ammettono, rivedranno la propria posizione in caso di intervento di salvataggio del Portogallo.
Il risultato a quel punto sarebbe scontato. L’Italia, che deve contrarre nuovo debito per pagare gli interessi su quello già accumulato, riuscirebbe a piazzare i suoi bond solo garantendo interessi più alti. Il che, ovviamente, determinerebbe un’ulteriore crescita di quella mostruosa voragine da oltre 1.800 miliardi di euro che caratterizza i conti del Paese. Il solito circolo vizioso, insomma. E una bella rogna per il governo, impastoiato nelle polemiche, interne e esterne. Se anche dovesse sopravvivere al voto di fiducia del prossimo 14 dicembre, Berlusconi avrebbe davanti a sé non pochi problemi. Con le missioni all’estero da rifinanziare, la cassa integrazione da sostenere e la produttività del paese da sostenere, il premier avrebbe solo due strade. Tagliare ancora dove resta qualcosa da tagliare. Oppure mettere le mani dove, almeno formalmente non ha mai osato, “nelle tasche degli italiani”.
di Matteo Cavallito e Mauro Meggiolaro
Fonte: Il FQ
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0 commenti to " Berllusconi e le tasse. Diminuirle? macchè, pronta una stangata per sanare i conti pubblici "