ROMA — Chiudere le questioni aperte. Tutte, ad una ad una. Per ridare brillantezza ad una leadership appannata e poi, quando sarà il momento, fare i conti con quel Gianfranco Fini di cui continua a non fidarsi, scettico com'è sulla possibilità di poter tornare ad avere con lui un'intesa civile, ma che non è affatto facile liquidare. Tanto che dal vertice del Pdl di ieri una linea è emersa chiara: Fini per il momento «non va nemmeno considerato, è come se non esistesse», ma va atteso al varco: se su intercettazioni e manovra si distinguerà «è fuori per sempre». Altrimenti si vedrà come agire, e le strade sarebbero tutte aperte, perfino quella — al momento difficilissima — che prevede la ricontrattazione dell'accordo tra i cofondatori.
Per questo anche ieri Silvio Berlusconi si è dedicato a sgombrare il campo da quattro pericolosissime mine pronte ad esplodere: le incomprensioni con il Quirinale, la manovra, la legge sulle intercettazioni e le fibrillazioni interne al Pdl. Al capo dello Stato, al Consiglio Supremo di Difesa, si è presentato nel modo più disarmante possibile: «Caro presidente — ha detto ridendo e sventolando la prima pagina del Giornale che tirava in ballo il Colle — lo vedi che ho ragione io a prendermela con la stampa che scrive solo menzogne?». E, ottenuto il sorriso del presidente, ha assicurato: «Io non c'entro niente con quello che scrive Feltri, mi provoca tanti di quei problemi, ma non riesco a venderlo questo quotidiano...». L'episodio, raccontato poi al vertice in un Palazzo Grazioli blindato per le proteste dei terremotati con parole un po' diverse («Ho detto al presidente — ha scherzato — "ma che scherzi mi fai, adesso anche tu attacchi la stampa!"»), è servito per spiegare ai suoi che sulle intercettazioni è necessario andare incontro ai voleri del Quirinale (che in buona parte coincidono con le richieste dei finiani). Anche perché l'intenzione del premier è «arrivare o a un voto o comunque ad un accordo chiaro sugli emendamenti prima della pausa estiva», per poi varare la legge a settembre.
I cambiamenti però non potranno toccare «il diritto alla privacy», ovvero il divieto per i giornali di pubblicare intercettazioni perché «questa vergogna deve finire», e si vedrà se basteranno ai finiani. Chiusa o quasi, con l'incontro con i governatori del centrodestra, la partita della manovra — l'altro tema sul quale il presidente della Camera è atteso al varco («O la accetta com'è, o rompe») —, si è aperto il tema del partito. E, anche con l'approvazione di un dispiaciuto Frattini, leader assieme alla Gelmini della corrente-fondazione Liberamente sulla quale si stavano raccogliendo troppe firme per non creare subbuglio nel partito, si è deciso che d'ora in poi tutte le fondazioni dovranno limitarsi a svolgere attività meramente culturale, e saranno coordinate da un organismo apposito.
Certo, ha ragionato Berlusconi con i suoi, il problema di ex forzisti che si muovono nel partito in maniera non organizzata mentre gli ex aennini, finiani e no, sono comunque — di nome o di fatto — organizzati in correnti, si pone. Per questo il Cavaliere ha assicurato che interverrà, con quella che più che una promessa pare una minaccia: «Ad agosto ci dedicheremo a questo, tenetevi liberi».
Fonte: Corriere.it
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Per questo anche ieri Silvio Berlusconi si è dedicato a sgombrare il campo da quattro pericolosissime mine pronte ad esplodere: le incomprensioni con il Quirinale, la manovra, la legge sulle intercettazioni e le fibrillazioni interne al Pdl. Al capo dello Stato, al Consiglio Supremo di Difesa, si è presentato nel modo più disarmante possibile: «Caro presidente — ha detto ridendo e sventolando la prima pagina del Giornale che tirava in ballo il Colle — lo vedi che ho ragione io a prendermela con la stampa che scrive solo menzogne?». E, ottenuto il sorriso del presidente, ha assicurato: «Io non c'entro niente con quello che scrive Feltri, mi provoca tanti di quei problemi, ma non riesco a venderlo questo quotidiano...». L'episodio, raccontato poi al vertice in un Palazzo Grazioli blindato per le proteste dei terremotati con parole un po' diverse («Ho detto al presidente — ha scherzato — "ma che scherzi mi fai, adesso anche tu attacchi la stampa!"»), è servito per spiegare ai suoi che sulle intercettazioni è necessario andare incontro ai voleri del Quirinale (che in buona parte coincidono con le richieste dei finiani). Anche perché l'intenzione del premier è «arrivare o a un voto o comunque ad un accordo chiaro sugli emendamenti prima della pausa estiva», per poi varare la legge a settembre.
I cambiamenti però non potranno toccare «il diritto alla privacy», ovvero il divieto per i giornali di pubblicare intercettazioni perché «questa vergogna deve finire», e si vedrà se basteranno ai finiani. Chiusa o quasi, con l'incontro con i governatori del centrodestra, la partita della manovra — l'altro tema sul quale il presidente della Camera è atteso al varco («O la accetta com'è, o rompe») —, si è aperto il tema del partito. E, anche con l'approvazione di un dispiaciuto Frattini, leader assieme alla Gelmini della corrente-fondazione Liberamente sulla quale si stavano raccogliendo troppe firme per non creare subbuglio nel partito, si è deciso che d'ora in poi tutte le fondazioni dovranno limitarsi a svolgere attività meramente culturale, e saranno coordinate da un organismo apposito.
Certo, ha ragionato Berlusconi con i suoi, il problema di ex forzisti che si muovono nel partito in maniera non organizzata mentre gli ex aennini, finiani e no, sono comunque — di nome o di fatto — organizzati in correnti, si pone. Per questo il Cavaliere ha assicurato che interverrà, con quella che più che una promessa pare una minaccia: «Ad agosto ci dedicheremo a questo, tenetevi liberi».
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