VENEZIA — «Il tricolore, lo metta al cesso signora!». L’invito, il 16 settembre del 1997, glielo fece Umberto Bossi. E la signora in questione è Lucia Massarotto. Che per dodici anni ha invece continuato ad esporlo sulla sua finestra di riva Sette Martiri a Venezia, giusto di fronte al grande palco della Festa dei Popoli Padani. Dodici anni ma ora basta. Perché il prossimo 30 luglio alla signora scade il contratto d’affitto e sarà costretta a lasciare quella che dal 1985 è la sua casa. Per lei la casa dei suoi figli, per tutti la casa del tricolore. Che a settembre, con il prossimo raduno leghista, perderà il bianco, il rosso e il verde. «Che dice? Sono un simbolo? Ma no, via. A Venezia ci sono tante persone che la pensano come me per fortuna— dice Massarotto — mica sono sola. Io ho fatto forse un gesto più plateale di altri, quello sì. Ma che cosa vuol dire, i "no" esistono, così come esiste della gente che non la pensa come la Lega».
Lei, il popolo del Carroccio lo conosce bene. Dal terzo piano della sua casa color rosso mattone ha ascoltato, volente o nolente, dodici comizi di decine di parlamentari nel frattempo diventuti ministri, e presidenti di Provincia. Quasi quasi potrebbe scrivere un libro: «Già, i cittadini dovrebbero sapere chi è veramente il popolo leghista. Non è sempre quello che appare in tivù — dice Massarotto—moderato nei toni e accondiscendente con l’interlocutore. Anzi. Dalla mia finestra ho sempre sentito parole forti, manifestazioni di odio e anche molti insulti. In riva Sette Martiri la Lega è un’altra cosa. Sapesse quante critiche, per usare un eufemismo, ho sentito rivolgere dal parlamentare padano di turno a Berlusconi. Ma poi, come vede, le cose cambiano. Ed ora eccoli là tutti assieme. Personalmente detesto le persone che non sono coerenti ». Dodici anni di storia politica e dodici anni di bandiere tricolori esposte alla finestra, incurante degli insulti. Qualcuno ha parlato di provocazione, lei ha sempre rifiutato questa etichetta. Dicendo invece che si trattava semplicemente di una manifestazione di dissenso.
Un «no» che la signora Lucia vorrebbe intonassero anche altri. «Al di là di questi nostri gesti, di noi cittadini, mi piacerebbe nascessero delle prese di posizione forti da parte di partiti e di autorità che non la pensano come la Lega. Che non ne condividono idee e metodi, invece sento molti silenzi, purtroppo ». Lei, da parte sua, in questi anni ha ricevuto molte attestazioni di stima, telefonate di solidarietà e mail di appoggio. Soprattutto dopo alcune minacce che hanno addirittura spinto le forze dell’ordine a tenere sotto controllo la sua abitazione. Che tra un paio di mesi non sarà più la sua. «Mi hanno aumentato l’affitto di 300 euro al mese, da 600 euro a 900, capita. Io però quella cifra non riesco a sostenerla, faccio un lavoro part-time e il mio stipendio si aggira sui 950-1000 euro al mese. Così ho fatto richiesta di un alloggio popolare partecipando ad un bando del Comune, vedremo come va a finire». Con la signora Lucia in quella casa di Riva Sette Martiri abitano i due figli Mattia e Tommaso di 21 e 15 anni. «Siamo una famiglia molto unita — dice — parliamo molto. Se la pensano come me? Il più grande mi ha sempre dato una mano ad appendere il tricolore alla finestra—sorride—è più forte di me e la bandiera, il giorno della festa leghista, bisogna fissarla bene». Il tema del trasloco preferirebbe non affrontarlo, eppure è là, dietro l’angolo. «Mi vien male a pensarci—mi sa che dovrò buttare via un sacco di cose». Il tricolore non le servirà più... «Come no? A parte il fatto che di bandiere ne ho ormai un sacco perché molte me ne hanno regalate in questi anni, ma non butterei mai via quel tricolore. Fa parte di me».
Fonte: Corriere.it
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