Giovedì, ad Annozero , sono accadute cose che sarebbero normali in un Paese normale, ma in Italia rasentano lo stupefacente. Pier Luigi Bersani – diversamente dal suo mèntore baffuto e dal cavalier Berlusconi – ha accettato di misurarsi senza rete di protezione con cinque giornalisti di vari orientamenti che gli rivolgevano domande e gli muovevano contestazioni anche aspre. Ha fatto buon viso, ha sorriso, s’è infervorato, s’è incazzato, ha risposto per le rime, a tratti è parso addirittura a un passo dal commuoversi. Insomma, a contatto con alcuni esseri viventi, ha ripreso vita proprio quando lo stavamo perdendo. Lo stato pre-comatoso di partenza non è colpa sua: provate voi a frequentare tutti i santi giorni luoghi sepolcrali come quelli del Pd, antri spettrali popolati di salme e anime morte, ossari e fossili, in cui si aggirano raminghi i D’Alema, i Veltroni, i Fioroni, i Fassino, i Marini, i Follini, i Violante, i Letta (junior), facendosi largo fra residui del cilicio della Binetti e della cicoria di Rutelli e altri giurassici relitti del passato che non passa. Scene e ambienti che intristirebbero un battaglione di clown del Circo di Mosca. Ma poi le prime domande hanno sortito l’effetto del defibrillatore: il paziente s’è prontamente rianimato come nella serie E.R. e, dopo un istante di comprensibile disorientamento (“Dove sono?”), ha pronunciato alcune frasi tratte da un passato ormai lontano ma ancora impresse nei meandri del subconscio: “Opposizione”, “Costituzione”, addirittura “conflitto d’interessi”.
Paolo Mieli ne ha concluso che in quel momento è nato un leader. Può darsi, lo sperano in molti. Intanto i suoi elettori non possono che aver apprezzato alcune frasi finalmente complete (prima le lasciava quasi tutte a metà), dunque chiare, comprensibili, non politichesi. Soprattutto una: “La nostra Costituzione è la più bella del mondo: al massimo va un po’ aggiornata, ma guai a chi la tocca. Per difenderla siamo pronti a chiamare a raccolta tutti quelli che ci stanno, a partire da Fini”. Una svolta non da poco, visto che fino al giorno prima il responsabile Pd per le riforme, Luciano Violante, dichiarava restando serio: “Ho il dovere di credere al presidente del Consiglio e di dialogare sulle riforme”. Frase che ha indotto Ficarra e Picone, a Striscia la notizia, a domandare se per caso non sia cambiato il presidente del Consiglio, visto che il Pd gli crede. E a ipotizzare che, in vista dell’incontro per le riforme, Berlusconi abbia invitato Violante a presentarsi a Palazzo Grazioli col trucco leggero e il tubino nero d’ordinanza. Se le parole di Bersani hanno un senso – e si spera che l’abbiano, è il segretario del Pd – la “bozza Violante” per rafforzare (ancora?) i poteri del premier, porre fine al bicameralismo e saltare nel buio del federalismo va in soffitta, visto che prevede ben di più e di peggio che “qualche aggiornamento” alla “Costituzione più bella del mondo”. Così come le tragicomiche avances per l’ennesima riforma anti-magistratura affidate dal responsabile Giustizia Andrea Orlando al Foglio di Ferrara (forse sperando che non le leggesse nessuno).
Vedremo se, alle parole di Bersani, seguiranno i fatti (intanto ci accontentiamo delle parole: prima non c’erano neppure quelle): è cioè la fine del “dialogo” e dei “tavoli ” per le “riforme” e l’inizio di un’opposizione dura, proporzionata alla gravità della minaccia.Chissà che, trovando una sponda energica nel Pd, il capo dello Stato non racimoli un po’ di coraggio per rispedire al mittente le leggi vergogna della banda del buco prossime venture. A proposito: ci scusiamo con i lettori per la precipitosità con cui ieri abbiamo elogiato Napolitano per la mancata firma al decreto Bondi sugli enti lirici. Dopo appena 24 ore di temeraria astinenza, la penna più veloce del West ha firmato anche quello. Ma non è colpa sua. E’ come il Dottor Stranamore: quando gli parte la mano, non c’è nulla da fare. E’ più forte di lui.
Fonte: Il Fatto Quotidiano del 01 maggio, in edicola
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