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"Non era disidratato, potevano salvarlo" I medici legali riaprono il caso Cucchi


"La vita di Cucchi si sarebbe potuta salvare. Se fosse stata posta in essere un'idonea terapia si sarebbe potuto scongiurarne la morte". Così Paolo Arbarello, direttore dell'istituto di Medicina legale dell'università La Sapienza nel corso di una conferenza stampa in cui ha illustrato le conclusioni di una consulenza elaborata da un pool di esperti incaricati dai magistrati per far luce sulla morte di Stefano Cucchi, il detenuto morto il ottobre scorso al Sandro Pertini.

Da parte dell'ospedale c'è stata omissione e negligenza". Queste le accuse rivolte dai medici legali alla struttura che avrebbe dovuto seguire in modo diverso il giovane deceduto sei giorni dopo l'arresto. In particolare, ha chiarito Arbarello, "in ospedale non è stata colta la gravità della situazione e determinante per la morte è stata l'omissione di un piano terapeutico adeguato". Mistero anche sul ricovero di Cucchi. Secondo Arbarello, "il reparto di medicina protetta non era idoneo alla sua condizione. Non sappiamo il perché non sia stato ricoverato in un altro".

Secondo i medici legali, è da escludere la morte per disidratazione. Dagli esami autoptici eseguiti sul corpo risulta infatti che Stefano aveva la vescica piena in virtù del fatto che la sera prima di morire aveva bevuto tre bicchieri di acqua. Viene perciò smentita la tesi della commissione parlamentare d'inchiesta sull'efficienza, presieduta da Ignazio Marino.

L'analisi svolta dal pool di esperti ha inoltre rilevato - ha spiegato arbarello - una lesione vertebrale lombare "antica" e una sacrale "recente". Quest'ultima è "tipica della caduta podalica", vale a dire una caduta sul sedere. "Quanto ai meccanismi ha sottolineato il direttore dell'istituto di medicina legale - per cui questo tipo di caduta si è determinata non spetta noi dirlo".

Non ci sono prove, ha spiegato Arbarello, che si tratti della conseguenza di un pestaggio. Nessun segno di pugni o di una aggressione diretta, questo però non esclude necessariamente il pestaggio, perché avrebbe potuto essere stato spinto violentemente contro un muro o sul pavimento, tanto da provocare la frattura. "Noi non possiamo entrare - ha concluso il professore - nel merito delle modalità che hanno provocato le lesioni".

Fonte: Repubblica.it
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