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Il Cavaliere non conosce crisi. Inaugurata la sua nuova Reggia


AVETE l'onore di inaugurare questo sito" ha detto il presidente Berlusconi aprendo i saloni di villa Gernetto, a Lesmo, in Brianza, dove ieri ha ricevuto il premier della Croazia, signora Kosor, secondo il consueto cortocircuito di pubblico e privato. Sull'onore toccato in sorte agli operatori dell'informazione il Cavaliere scherzava, come sempre, ma fino a un certo punto. Alla presa di possesso del palazzo da parte del signore è dedicato il primo capitolo del recente saggio della professoressa Maria Antonietta Visceglia, Riti di corte e simboli della regalità (Salerno, 2009). Berlusconi ha virato la cerimonia in senso mediatico turisticheggiante, ma la sostanza è più o meno la stessa: l'ostensione di un bene, l'ostentazione di uno sfarzo e dunque di un potere. Una nuova villa. Un'altra. L'ennesima. Nessuno sa con esattezza quante egli ne possiede, nel settembre del 2009 il Corriere della Sera ha tentato un censimento arrivando a quota 27 (sette solo ad Antigua). Forse lui stesso lo ignora. Quando si arrabbia e minaccia di mollare tutto può uscirsene legittimamente con frasi del tipo: "Ho ville in giro per il mondo che non ho mai visitato".

Per fare sua quest'ultima dimora, che il Giornale ha sobriamente definito "la nuova reggia", sembra che abbia scucito 40 milioni di euro. Da un paio d'anni, ormai, l'avrebbe destinata a un progetto di università del pensiero liberale. I giornalisti furono onorati di scoprirlo quando un certo giorno, come in un quiz, Berlusconi chiese loro di indicargli quali fossero tra gli imperatori romani quelli "più liberali", per collocare a Lesmo i busti marmorei. La consulenza ebbe incerto esito, ma nel frattempo il presidente pensò di ambientarvi il G8 della Scienza e della Tecnologia, poi bruscamente cancellato. Sull'imminente villa del liberalismo accademico, comunque, e nella quale il Cavaliere si è riservato un quartierino, esiste già un promo che è rimasto impresso all'attrice Manuela Arcuri, cui è stato proficuamente mostrato durante una delle festicciole di Palazzo Grazioli (cfr Chi del 14 ottobre scorso).

La penultima villa, acquistata come al solito in pompa magna, fu villa Campari, già villa Correnti, a Lesa, sul lago Maggiore. Questo Correnti, Cesare, fu un personaggio del Risorgimento: "Compro la casa di un patriota - spiegò il Cavaliere - per strapparla a mani straniere". Pare che interessato fosse il classico principe arabo. Era la fine di settembre del 2009 e in quel caso il Giornale la presentò come una magione "democratica". Il Cavaliere compiva gli anni e la cronaca lascia agli archivi la seguente perla: "Ci si può perfino attaccare alle cancellate, come hanno fatto per tutto il giorno decine di persone. Afferravano le sbarre e strillavano come fossero in carcere, ma non chiedevano la libertà: invocavano Silvio, aspettavano che uscisse a passeggiare nel verde, volevano fargli gli auguri".

L'esemplare quadretto certifica, fra le tante, una circostanza non del tutto scontata, e cioè che le ville costituiscono un sistema di segni che nell'immaginario berlusconiano trascende qualsiasi funzione d'uso. Viene da chiedersi: ma che ci farà mai con tutte queste residenze? Ecco: nella vittoria dello spreco sulla moderazione e nel primato dello splendore sulla sobrietà riposa il fondamento della più profonda, ma inconfessabile ineguaglianza (ne scrive Alessandro Casiccia in Lusso e potere, Bruno Mondadori, 2008).
In compenso, o a parziale risarcimento, la villeide del Cavaliere offre delle risorse narrative che nel tempo si sarebbe francamente risparmiato. Basti pensare all'acquisto di villa San Martino dai marchesi Casati, una pagina non proprio felice della storia berlusconiana, e all'ormai celebre stalliere di Arcore; così come sarà difficile cancellare l'incubo dei cinquemila o settemila imbarazzanti scatti di Zappadu a villa La Certosa, o la memoria dell'ex premier ceco Topolanek che si getta nudo nel blu della piscina. Quando non compra ville, d'altra parte, il presidente Berlusconi se le va comunque a cercare. Una volta, a Montalcino, fu accolto da alcuni giovinastri che gli fecero il gesto dell'ombrello e subito l'affare sfumò. Magari il dipartimento di storia dell'università liberale ci potrà fare un corso.

Fonte: Repubblica.it
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