POCHE VITTIME - per fortuna - e molti affari. Il virus H1N1 si avvia a festeggiare il suo primo anno di vita con un bilancio pieno di sorprese: un tasso di mortalità di gran lunga inferiore al previsto (lo 0,018%, meno dell'influenza stagionale), un deciso calo dei ricoveri negli Stati Uniti e in Europa (eccetto la Francia) proprio nei giorni in cui si temeva il picco della malattia e tante polemiche sulle vaccinazioni - in Italia si è immunizzato solo il 14% degli operatori sanitari - e sul ruolo dei colossi farmaceutici e delle autorità di controllo. Big Pharma, malgrado la mitezza della pandemia, ha già incassato in sei mesi un jackpot da 20 miliardi di euro di entrate straordinarie. Mentre l'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) - accusata da qualcuno di eccesso d'allarmismo - è stata costretta ad aprire un'inchiesta interna per verificare i possibili conflitti di interessi dei suoi consulenti scientifici. Accusati di essere pure a libro paga dell'industria. Per fare il punto della situazione, Repubblica ha sintetizzato in questo dossier il risultato di interviste, indagini e incontri con medici, case farmaceutiche, scienziati e politici raccolti negli ultimi giorni. Ecco il risultato.
Un virus (per ora) spuntato. Nessuno, naturalmente, discute la pericolosità dell'H1N1: la sua diffusione - complice un mondo sempre più globale - è stata rapidissima. Gli effetti però sono stati meno gravi del previsto. Secondo l'Oms, il virus è arrivato in 208 Paesi. Le vittime riconducibili a H1N1 però sono "solo" - si fa per dire - 9.596 (800 nell'ultima settimana), una cifra di gran lunga inferiore alle 500mila causate ogni anno dall'influenza stagionale. "È la pandemia più lieve della storia", si spinge a dire Marc Lippsitch, epidemiologo di Harvard. In Italia siamo a quota 142, come dire un morto ogni 25mila casi di infezione (in totale da noi sono state colpite dall'influenza A 3.650.000 persone). Ma per la maggior parte il virus è una concausa. Il Center for Disease Control americano ha calcolato il tasso di mortalità nello 0,018%, contro il 2% della spagnola e lo 0,2% dell'influenza tradizionale. L'aviaria, per dire, ha avuto effetti letali sul 60% delle persone colpite. La task force di esperti della Casa Bianca pochi mesi fa prevedeva tra i 30 e i 90mila morti negli Usa (contro i 36mila della stagionale). Le stime reali parlano oggi di 10mila vittime statunitensi su 50 milioni di malati.
Non solo. Il peggio, almeno per la prima ondata pandemica, sembra alle spalle. Negli Stati Uniti e in Canada il numero dei ricoveri è in calo da cinque settimane. In Italia, dopo tre settimane consecutive di flessioni, ha registrato un rialzo solo marginale negli ultimi sette giorni. A metà novembre ogni mille assistiti in ospedale si verificavano 11,2 casi di H1N1, ora siamo a quota 6,6. "Il picco è passato - ammette Giovanni Rezza, direttore malattie infettive dell'Istituto superiore di sanità - . Anche se, naturalmente, non bisogna abbassare la guardia". Il motivo? Il rischio di recrudescenze. "La spagnola - ricorda Maurizio De Martino, direttore di pediatria dell'ospedale Mayer di Firenze - ha avuto tre ondate in tre anni diversi". Oggi però la pandemia è sparita dalle prime pagine dei giornali e l'allarme sociale è calato. "Le persone che ci chiamano per avere informazioni sono sempre meno - ammette Giacomo Milillo, segretario della Federazioni medici di medicina generale - . Certo, c'è sempre il timore della mutazione, ma senza più l'ansia delle scorse settimane".
Il milione di geni del virus, naturalmente, muta e continua a mutare. È già successo quando il micidiale H1N1, nato nel corpo di un volatile e migrato poi nei suini, è riuscito ad aggredire nel 2009 in Messico - truccando il suo patrimonio genetico - le mucose respiratorie di Edgar Hernandez, il paziente-zero, un bambino di 5 anni (poi sopravvissuto) di La Gloria, Stato di Veracruz. "È accaduto di nuovo poco dopo in Brasile", assicura Rino Rappuoli, numero uno della ricerca di Novartis. Ma tutte queste trasformazioni (come quella in Norvegia che porta all'attacco delle vie respiratorie profonde) si sono dimostrate - almeno per ora e incrociando le dita - meno pericolose e meno contagiose del previsto. "Siamo di fronte a variazioni minime che non cambiano le proprietà dell'H1N1" assicura Rappuoli. "Una mutazione fuori dallo spettro di copertura del vaccino è sempre possibile - aggiunge Pietro Corvari, professore all'Università di Genova e tra i fondatori del centro anti-influenza - . Ma per ora siamo lontani da questa ipotesi e la presenza di adiuvanti rende la copertura più estesa".
Un'influenza d'oro. Il virus killer, dunque, è meno killer di quanto si pensasse. Corre veloce, è riuscito persino a violare l'embargo strettissimo imposto alla striscia di Gaza (dieci morti). Ma, allo stato, pare - patologicamente parlando - più debole del previsto. Dove invece non ha tradito le attese è stato sul fronte finanziario: il business dell'H1N1 scoppia di salute. La Virus Spa, un sapiente mix di vaccini e di indotto figlio dell'ansia "preventiva", ha già iniziato a macinare miliardi.
I primi beneficiari di questo inatteso (forse non troppo, dicono i maliziosi) Eldorado sono, come ovvio, i professionisti della pandemia: i produttori di vaccini. Fino a pochi anni fa parevano una specie sull'orlo dell'estinzione: le malattie virali più gravi erano state sradicate dai Paesi ricchi. Le nazioni più povere, dove queste patologie trovano ancora terreno fertile, non avevano i soldi necessari per acquistarle. Oggi è cambiato tutto: l'aviaria e la minaccia di bioterrorismo hanno fatto ripartire alla grande gli investimenti. E l'influenza A è stata la ciliegina sulla torta, una miniera d'oro che finora ha garantito ai big del settore un bonus da 12 miliardi. A settembre - con l'allarme H1N1 all'apice - la domanda di dosi era doppia rispetto alla capacità produttiva mondiale. E i governi (Italia compresa) hanno firmato contratti in bianco, pagando in anticipo vaccini non ancora approvati pur di farne scorta adeguata. L'inglese Gsk ha piazzato in pochi giorni 440 milioni di dosi (al prezzo di 5 sterline l'una) di Pandemrix a 22 Paesi differenti con un incasso "straordinario" di quasi 3 miliardi di euro. Non solo: le vendite del suo Relenza, un anti-virale efficace in fase preventiva, sono decollate a 600 milioni di euro nei primi nove mesi 2009.
Il Tamiflu della Roche, un altro anti-virale già sul mercato, ha decuplicato le vendite a 2 miliardi nel 2009 e secondo le stime del colosso svizzero ne macinerà altri 400 l'anno prossimo. La Novartis prevede di ricavare dal suo vaccino Focetria un miliardo in sei mesi. Più o meno quanto incasserà grazie ai suoi nuovi prodotti la francese Sanofi. Centinaia di milioni entreranno pure nella casse dell'americana Baxter (titolare del vaccino Celvapan) e dell'inglese Astra Zeneca. Contratti una-tantum, d'accordo, ma in grado di generare a fine pandemia, secondo l'Oms, ricavi extra vicini ai 20 miliardi.
L'overdose di vaccini. Oggi, a contratti miliardari firmati, il mercato s'è girato. La pandemia non morde. La gente - ridimensionata la percezione del rischio - non si vaccina. E milioni di dosi (scadenza media un anno) rimangono stoccate nei frigoriferi degli ospedali. L'Olanda ha già deciso di mettere in saldo il 50% delle sue scorte, svendendo 17 milioni di dosi, con Macedonia e Malta pronte all'acquisto. Lo stesso sta pensando di fare la Gran Bretagna. E presto anche Francia (94 milioni di dosi ordinate) e Usa (85 milioni già disponibili) - dove l'influenza A pare in decisa regressione - rischiano di dover affrontare lo stesso problema. A tre mesi dal lancio, insomma, siamo già ai saldi di stagione. Di cui tra l'altro potrebbero beneficiare i Paesi più poveri. Italia e Francia, per amor del vero prima della creazione del surplus, avevano già destinato il 10% del loro stock proprio alle nazioni emergenti. E l'Oms si è già garantito la disponibilità di 200 milioni di dosi per 95 Paesi a basso reddito. Quelli tra l'altro dove il virus, proprio per la mancanza di presidi, è più a rischio di mutazione anche perché potrebbe incrociarsi con gli ultimi focolai di aviaria. Un'ipotesi che per gli scienziati mondiali è a oggi un vero incubo.
I vaccini però sono soltanto uno dei tanti rami del ricchissimo business della Virus Spa. Basta entrare in questi giorni in una farmacia per rendersi conto di come la sindrome H1N1 abbia contagiato pure i prodotti da banco. I gel disinfettanti per le mani (+50% di vendite ad ottobre in Italia secondo la Nielsen) tirano più dell'aspirina. Gli americani, calcola l'istituto di ricerca Minter, spenderanno quest'anno 3,6 milioni di dollari in più per difendersi dall'influenza A con una originale e personalissima forma di prevenzione fai-da-te. Gli oggetti del desiderio sono in particolare le mascherine per la protezione di naso e bocca (la 3M in tre mesi ne ha vendute per 100 milioni, facendo lavorare i suoi impianti 24 ore al giorno per 7 giorni alla settimana), gli sciroppi per prevenire tosse e raffreddore e i disinfettanti in tutte le loro declinazioni: le vendite di Clorox, l'amuchina a stelle e strisce, sono decollate facendo volare gli utili del gruppo.
Pandemia all'italiana. L'Italia, sul fronte del business della pandemia, finora ha solo pagato. La spesa "viva" a oggi - al di là dei costi necessari per pagare Topo Gigio e di quelli strutturali per la task force del viceministro Ferruccio Fazio - è rappresentata dal costo dei vaccini: 184,8 milioni. Sette euro (iva esclusa) a dose per ognuno dei 24 milioni di dosi di Focetria acquistate dalla Novartis con un contratto secretato dal Governo, malgrado le richieste di trasparenza della Corte dei conti.
L'accordo, siglato il 21 agosto, a farmaco non ancora approvato, ha alcune clausole molto particolari. Un codicillo a pagina 10, ad esempio, sgrava l'azienda svizzera di tutti i rischi pecuniari derivanti da eventuali effetti collaterali del prodotto. Caricandoli, in sostanza, sulle spalle dei cittadini italiani. "Il ministero - recita l'intesa - è tenuto a indennizzare, manlevare e tenere indenne Novartis da qualsiasi perdita che Novartis sia tenuta a risarcire in conseguenza di danni a persone e/o cose causati dal prodotto". Salvo, deo gratias, "quelli di fabbricazione".
Sono tanti o poche 24 milioni di dosi? "L'Italia ha scorte più che sufficienti - dice Rappuoli - . Il nostro vaccino scade in un anno ma forse potrà durare di più, vedremo. Di sicuro grazie agli adiuvanti ha uno spettro di copertura molto ampio e le ricerche che abbiamo fatto su un campione di 3mila bambini dai 3 mesi in su hanno dato risultati molto rassicuranti sulla tollerabilità". Francia e Gran Bretagna sono state più prudenti di noi ordinando quantitativi che consentono di "coprire il 70-80% della popolazione con due dosi", come calcola Rezza, convinto però che il Belpaese, grazie anche alla clemenza di questo primo picco di H1N1, "ha comprato il giusto, senza esagerare". "In fondo - conclude - quando un virus non è ben conosciuto e ha un enorme potenziale infettivo bisogna prendere precauzioni adeguate".
Il nodo delle vaccinazioni. Comprati i vaccini, però, il problema è vaccinare chi ne ha bisogno. E su questo fronte l'Italia fatica a carburare. All'8 dicembre, su 7 milioni e 432mila dosi distribuite, solo 689mila erano state inoculate. In Svezia è stato già immunizzato un terzo delle persone. In Gran Bretagna siamo già ben oltre i 2,3 milioni. Il virus debole, per ora, annacqua le conseguenze dei nostri ritardi. Ma con un tasso di mortalità più alto, il Belpaese sarebbe nei guai. "Se finora le cose sono andate meglio del previsto, il merito non è certo della vaccinazione che ha raggiunto un numero molto limitato di persone" sostiene Mauro Moroni, direttore malattie infettive dell'ospedale Sacco di Milano. La colpa del flop, dice De Martino, "ricade anche su chi non l'ha fatta a sé, e parlo dei miei colleghi medici, e ai cittadini".
Gli ultimi dati del ministero (al 5 dicembre) certificano che solo 146mila operatori sanitari (il 14,1% del totale) hanno deciso di immunizzarsi e che la campagna di vaccinazione ha finora coperto il 10% delle donne gravide e il 14,3% delle persone a rischio. L'Istituto superiore di sanità ha rivalutato le sequenze di 100 ceppi virali a caccia di eventuali mutazioni. Trovate solo in un paziente con polmonite, caso risolto dopo terapia intensiva e "non in fase di diffusione". Certo è che se l'influenza A andasse scemando e la campagna di vaccinazioni continuasse ai ritmi da moviola con cui sta procedendo ora, anche l'Italia rischierebbe di trovarsi sul gobbo un bel po' di dosi di Focetria prossime alla scadenza. Ma, al momento, sarebbe il minore dei mali.
Le polemiche sull'Oms. La trincea della lotta all'influenza A è un laboratorio nel sottosuolo del palazzo bianco dell'Organizzazione mondiale della Sanità a Ginevra. L'unità di crisi dove da dodici mesi lavora a ritmi forzati il Center for Strategic Health Operation, in codice Shoc. Un'equipe di scienziati un po' spiazzata dal decorso meno drammatico del previsto dell'inflazione. "C'è stata una differenza tra quello che ci si aspettava e quello che si è prodotto nella realtà" ammette Nykia Alexander, consigliere speciale del direttore generale Chan. "La percezione di un virus molto meno letale del previsto - aggiunge - ha creato qualche problema". I responsabili dell'Oms smentiscono di aver peccato d'allarmismo. "Abbiamo sempre valutato in modo moderato gli effetti dell'attuale pandemia, dicendo che la maggioranza dei pazienti manifesta una sindrome influenzale benigna e guarisce completamente in una settimana, anche senza nessuna terapia".
Alcuni scienziati accusano l'Oms di aver modificato appositamente la definizione ufficiale di pandemia per poter dichiarare il livello massimo di allerta. A inizio 2009 la conditio sine qua non per lo stato d'emergenza (il livello 6) era quella di trovarsi di fronte a "un enorme numero di morti". Dizione sparita nei primi mesi dell'anno dal prontuario di Ginevra. "La confusione è dovuta a una vecchia definizione sbagliata sul nostro sito che è stata in effetti aggiornata", si giustifica Gregory Hartl, portavoce dell'organizzazione. Più difficile replicare alle rivelazioni sui presunti conflitti di interesse di alcuni esperti scientifici degli advisory groups, i gruppi di consulenza dell'Oms sull'H1N1. Il medico olandese Albert Osterhaus, del comitato "Sage" incaricato delle linee guida per la prescrizione di vaccini contro il virus, avrebbe partecipazioni economiche in diverse società farmaceutiche. Anche Frederick Hayden e Arnold Monto, altri due consulenti dell'Oms per la campagna di vaccinazione, sono stati accusati di collaborare stabilmente con Roche e Gsk. Su questo punto, la risposta dell'Oms è stata una mezza ammissione. "Collaboriamo con l'industria farmaceutica per ragioni legittime. I laboratori farmaceutici - spiega Hartl - svolgono un ruolo essenziale per raggiungere gli obiettivi di salute pubblica". Per regole interne, i consulenti scientifici dell'Oms devono però dichiarare ogni potenziale conflitto d'interesse. "Le accuse sono figlie della percezione di un virus meno letale del previsto - conclude il portavoce dell'organizzazione -. Ma sono preoccupazioni ingiustificate". Eppure da pochi giorni sul sito compare un comunicato di precisazione sugli advisory groups ed è stata avviata un'inchiesta per verificare l'effettiva indipendenza dei comitati di consulenza a cui è stata affidata la regia della prima pandemia globale.
"La realtà è che da questa crisi abbiamo imparato due lezioni - conclude Rezza -. La prima è che gli opposti estremismi, allarmismo e negazionismo, sono controproducenti. La seconda è che dobbiamo imparare a produrre i vaccini più rapidamente per prevenire situazioni più gravi". Sperando, naturalmente, di non averne bisogno.
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