Sul cartello «A.A.A. vendesi » che don Luigi Ciotti ieri mattina ha simbolicamente usato per dimostrare quali beni sequestrati alla criminalità organizzata rischiano di finire all’asta e quindi, verosimilmente, di nuovo nelle mani del malaffare. Non c’era nessuno, nella Bottega della Legalità «Pio la Torre » di Roma, perché la norma che lo permetterebbe porta la firma del senatore Maurizio Saia che l’ha presentata e, anche se non compare, quella del ministro Giulio Tremonti che punta a far cassa a tutti i costi. In molti avrebbero voluto esserci ma non potevano, perché l’ordine di scuderia è stato chiaro. Non si va.
QUELLI CHE CI METTONO LA FACCIA
Così c’erano tutti gli altri, quelli che la faccia ce la vogliono mettere e hannostaccato - di nuovo simbolicamente - un assegno per comprarsi quel terreno di Totò Riina, quell’albergo di Enrico Nicoletti, il cassiere dellaBandadella Magliana o quel terreno agricolo di Walter e Francesco Schiavone (il Sandokan dei Casalesi). Quando lo Stato confiscò l’azienda bufalina furono le mogli dei boss a prenderne le redini e una volta che il Demanio se l’aggiudicò definitivamente nel 2005 chissà come andarono distrutti i silos, morirono i 2000 capi di bestiame e bruciarono i depositi di foraggio. Ieri se l’ha preso Giovanni Russo Spena, ex parlamentare, amico di Peppino Impastato. Walter Veltroni ha comprato un appartamento a Nettuno confiscato ad Agazio Gallace, boss della ‘ndrangheta che aveva organizzato una filiale laziale della «’ndrina».
Il valore si aggira intorno ai 129mila euro, ma l’ex segretario del Pd ha esordito dicendo «lo compro per quello che volete». Laura Garavini, capogruppo Pd in commissione Antimafia, che ha presentato un emendamento soppressivo della norma scempio, ha comprato una villa con tavernetta confiscata a Giuseppe Polverino, legato al clan Nuvoletta. A Beppe Giulietti, di Articolo 21 sono andati i locali di Totò Riina in via Messina a Palermo. «Ci facciamo una bella cooperativa per il recupero dei fatti...». L’assessore regionale alla Cultura, del Lazio, Giulia Rodano, ha messo le mani su una villa confiscata a Federico Trisciuoglio, a Manfredonia in Puglia. Soldi in contanti. Quelli di cui la criminalità organizzata dispone senza alcun problema. Perché, come dice il procuratore nazionale Antimafia, Piero Grasso, «il problema non è tanto chi li vende, ma chi li acquista.
Capisco che è per fare cassa e c'è bisogno, però, anziché trovare soluzioni così ultimative, non si possono mai vendere o si vendono tutti, forse si può trovare un contemperamento degli interessi vendendo quelli che non sono produttivi e di utilizzare, affidandoli alle cooperative di giovani, quelli che sono invece sfruttabili».
I FILI
Ieri c’era anche Francesco La Torre, figlio di Pio, ucciso dalla mafia. Era lì in memoria di suo padre e per combattere quest’ultima battaglia. . «Per la mafia sono importanti i simboli, riacquistare quei beni per i boss vuol dire riaffermare il loro potere», ha detto ieri. La legge che prevede la confisca si chiama «Rognoni-La Torre ». Quella che ne prevede l’utilizzo a fini sociali è la 109/96 nata grazie a quel milione di firme raccolte dall’associazione Libera di don Ciotti: tutto si lega, c’è un filo che unisce queste persone a questa asta simbolica. «La nostra è una corretta provocazione perché siamo certi che quei beni attraverso colpi di ingegneria tornerebbero alla criminalità», dice il don. Disegna un altro filo che tiene insieme altro: «Con lo scudo fiscale rientrano in Italia i capitali; con questo emendamento della Finanziaria si vendono i beni; con i proventi si finanzia il processo breve». Tutto torna.
fonte: Unità.it
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QUELLI CHE CI METTONO LA FACCIA
Così c’erano tutti gli altri, quelli che la faccia ce la vogliono mettere e hannostaccato - di nuovo simbolicamente - un assegno per comprarsi quel terreno di Totò Riina, quell’albergo di Enrico Nicoletti, il cassiere dellaBandadella Magliana o quel terreno agricolo di Walter e Francesco Schiavone (il Sandokan dei Casalesi). Quando lo Stato confiscò l’azienda bufalina furono le mogli dei boss a prenderne le redini e una volta che il Demanio se l’aggiudicò definitivamente nel 2005 chissà come andarono distrutti i silos, morirono i 2000 capi di bestiame e bruciarono i depositi di foraggio. Ieri se l’ha preso Giovanni Russo Spena, ex parlamentare, amico di Peppino Impastato. Walter Veltroni ha comprato un appartamento a Nettuno confiscato ad Agazio Gallace, boss della ‘ndrangheta che aveva organizzato una filiale laziale della «’ndrina».
Il valore si aggira intorno ai 129mila euro, ma l’ex segretario del Pd ha esordito dicendo «lo compro per quello che volete». Laura Garavini, capogruppo Pd in commissione Antimafia, che ha presentato un emendamento soppressivo della norma scempio, ha comprato una villa con tavernetta confiscata a Giuseppe Polverino, legato al clan Nuvoletta. A Beppe Giulietti, di Articolo 21 sono andati i locali di Totò Riina in via Messina a Palermo. «Ci facciamo una bella cooperativa per il recupero dei fatti...». L’assessore regionale alla Cultura, del Lazio, Giulia Rodano, ha messo le mani su una villa confiscata a Federico Trisciuoglio, a Manfredonia in Puglia. Soldi in contanti. Quelli di cui la criminalità organizzata dispone senza alcun problema. Perché, come dice il procuratore nazionale Antimafia, Piero Grasso, «il problema non è tanto chi li vende, ma chi li acquista.
Capisco che è per fare cassa e c'è bisogno, però, anziché trovare soluzioni così ultimative, non si possono mai vendere o si vendono tutti, forse si può trovare un contemperamento degli interessi vendendo quelli che non sono produttivi e di utilizzare, affidandoli alle cooperative di giovani, quelli che sono invece sfruttabili».
I FILI
Ieri c’era anche Francesco La Torre, figlio di Pio, ucciso dalla mafia. Era lì in memoria di suo padre e per combattere quest’ultima battaglia. . «Per la mafia sono importanti i simboli, riacquistare quei beni per i boss vuol dire riaffermare il loro potere», ha detto ieri. La legge che prevede la confisca si chiama «Rognoni-La Torre ». Quella che ne prevede l’utilizzo a fini sociali è la 109/96 nata grazie a quel milione di firme raccolte dall’associazione Libera di don Ciotti: tutto si lega, c’è un filo che unisce queste persone a questa asta simbolica. «La nostra è una corretta provocazione perché siamo certi che quei beni attraverso colpi di ingegneria tornerebbero alla criminalità», dice il don. Disegna un altro filo che tiene insieme altro: «Con lo scudo fiscale rientrano in Italia i capitali; con questo emendamento della Finanziaria si vendono i beni; con i proventi si finanzia il processo breve». Tutto torna.
fonte: Unità.it
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