Contrordine lombardi. Dopo aver annunciato ai quattro venti che grazie al Carroccio (ministro Luca Zaia in testa) il governo Berlusconi tutelava le produzioni italiane e combatte le contraffazioni (in primis quelle dei «famigerati» cinesi), ora l’esecutivo è costretto a una precipitosa marcia indietro.
Giovedì prossimo, al primo consiglio dei ministri della ripresa, saranno «congelate» le norme sul made in Italy entrate in vigore a ferragosto. Si riscriveranno utilizzando forse il «decreto salva-infrazioni dall’Ue».
Appena 20 giorni di vita, e quegli articoli sono già morti. Come mai? Il fatto è che le imprese sono in rivolta, specie quelle del nordest tanto care a Bossi e sodali. Tutte in allarme: produttori (di tutti i comparti), trasportatori, responsabili dei porti e dei container. E non solo. Anche le dogane si ritrovano nel caos più totale: non sanno come applicare le norme appena varate. Il risultato è devastante per l’economia già in profondo rosso. Il marchingegno messo in campo dal governo, infatti, imponendo regole più stringenti solo agli italiani, avvantaggia gli stranieri (che continuano come prima) e anche i «furbi», che cercano altri canali per importare merce in Italia. Le disposizioni infatti prevedono che sull’etichetta sia segnalata l’origine precisa del luogo di produzione o di fabbricazione delle merci, pena multe salate. Si tratta di un breve articolo nel più corposo provvedimento per lo sviluppo presentato da Claudio Scajola. Ma proprio quelle poche righe hanno provocato un vero terremoto.
In primo luogo perché molti prodotti erano già stati etichettati in primavera, e in agosto si sono visti bloccare l’ingresso alla dogana. In secondo luogo perché le regole non valgono per tutti, così in alcuni settori, come ad esempio l’alta moda, competitor europei (si pensi a famosi marchi francesi) possono tranquillamente entrare e circolare con la loro etichetta, mentre i marchi italiani non possono utilizzare la dicitura «made in Italy». Già dalle prime avvisaglie di malumori, il governo ha tentato di correre ai ripari con una circolare, che autorizzava le imprese ad autocertificare la legalità per le etichette stampate prima. Ma questa ulteriore norma non ha fatto altro che creare caos alle dogane e ai porti. Con il risultato che molti produttori hanno scelto Rotterdam o i porti francesi come via d’ingresso in Europa. Provocando ulteriori danni ai trasportatori di casa nostra. Come dire: un danno dietro l’altro.
Cosa manca davvero alla norma italiana, che pure si prefigge lo scopo della trasparenza e della tracciabilità? «Il fatto è che qui qualcuno non capisce che l’Italia è in Europa e nel mondo - commenta Massimo Calearo, imprenditore e deputato Pd - Dobbiamo lavorare insieme all’Europa per avere regole comuni, altrimenti è il caos. Oggi è difficile che un prodotto sia tutto made in Italy: tutti hanno delocalizzato. L’impostazione della Lega forse va bene per i piccolissimi artigiani, destinati comunque a crescere pena l’estinzione. Spero che chi ha votato il Carroccio oggi capisca cosa ha fatto». A dirla proprio tutta, non andrebbe bene neanche per i piccolissimi: si pensi ai filati in cashmere, prodotto italiano ma con filati sicuramente stranieri. «La Filtea e i sindacati europei del tessile - aggiunge la segretaria Valeria Fedeli -hanno sempre combattuto per la trasparenza e la tracciabilità. Questa è la battaglia, non quella del semplice made in Italy. Con Prodi prima all’Ue e poi a Palazzo Chigi siamo riusciti adottenere un regolamento europeo, che però alcuni stati membri (soprattutto quelli del nord, che non producono abbigliamento, ma distribuiscono, ndr) non vogliono adottare. Il governo deve farsi valere a Bruxelles, che tra l’altro è titolare delle politiche commerciali, non produrre norme “autarchiche”».
Il pasticcio delle etichette si abbatte su comparti già in crisi nera, con la domanda bassissima e la produzione che resta ferma in dogana. Lo stesso vale per i trasportatori. La Confetra ha sfornato numeri da brivido sul primo semestre 2009: trasporti internazionali a -25% rispetto all’anno prima. E oggi si ritrova che clienti costretti a rivolgersi a olandesi e francesi. «Gran parte dei marchi italiani - spiega Pieri Luzzati, direttore generale Confetra - producono all’estero. Le leggi introdotte ricadono solo sugli italiani. Gli stranieri continuano come prima, gli italiani che non vogliono farsi travolgere sdoganano in un altro Paese. Per l’Italia c’è un duplice danno. I prodotti di qualità degli altri Paesi vengono avvantaggiati, e contemporaneamente si avvantaggia chi riesce ad aggirare le norme. È una legge autolesionista, che colpisce solo noi».
Per ora l’allarme è rimasto in sordina. Un po’ perché i nuovi regolamenti sono entrati in vigore in pieno agosto, un po’ per l’escamotage dell’autocertificazione introdotto in corsa. Ma nei porti già ai primi di settembre ci si attende il caos, con merci da sdoganare non si sa bene come, o carichi da bloccare. Finora ciascuno si è regolato come meglio ha creduto: Genova ha accettato l’autocertificazione, Taranto non ha segnalato merce bloccata o soggetta a ulteriori certificati. ma prima o poi la materia è destinata ad esplodere.Di qui la decisione di congelare tutto. Sempre che giovedì prossimo le nuove indicazioni siano chiare. Altrimenti per le dogane e per i porti sarà nuovo caos.
Fonte: Unità.it
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Giovedì prossimo, al primo consiglio dei ministri della ripresa, saranno «congelate» le norme sul made in Italy entrate in vigore a ferragosto. Si riscriveranno utilizzando forse il «decreto salva-infrazioni dall’Ue».
Appena 20 giorni di vita, e quegli articoli sono già morti. Come mai? Il fatto è che le imprese sono in rivolta, specie quelle del nordest tanto care a Bossi e sodali. Tutte in allarme: produttori (di tutti i comparti), trasportatori, responsabili dei porti e dei container. E non solo. Anche le dogane si ritrovano nel caos più totale: non sanno come applicare le norme appena varate. Il risultato è devastante per l’economia già in profondo rosso. Il marchingegno messo in campo dal governo, infatti, imponendo regole più stringenti solo agli italiani, avvantaggia gli stranieri (che continuano come prima) e anche i «furbi», che cercano altri canali per importare merce in Italia. Le disposizioni infatti prevedono che sull’etichetta sia segnalata l’origine precisa del luogo di produzione o di fabbricazione delle merci, pena multe salate. Si tratta di un breve articolo nel più corposo provvedimento per lo sviluppo presentato da Claudio Scajola. Ma proprio quelle poche righe hanno provocato un vero terremoto.
In primo luogo perché molti prodotti erano già stati etichettati in primavera, e in agosto si sono visti bloccare l’ingresso alla dogana. In secondo luogo perché le regole non valgono per tutti, così in alcuni settori, come ad esempio l’alta moda, competitor europei (si pensi a famosi marchi francesi) possono tranquillamente entrare e circolare con la loro etichetta, mentre i marchi italiani non possono utilizzare la dicitura «made in Italy». Già dalle prime avvisaglie di malumori, il governo ha tentato di correre ai ripari con una circolare, che autorizzava le imprese ad autocertificare la legalità per le etichette stampate prima. Ma questa ulteriore norma non ha fatto altro che creare caos alle dogane e ai porti. Con il risultato che molti produttori hanno scelto Rotterdam o i porti francesi come via d’ingresso in Europa. Provocando ulteriori danni ai trasportatori di casa nostra. Come dire: un danno dietro l’altro.
Cosa manca davvero alla norma italiana, che pure si prefigge lo scopo della trasparenza e della tracciabilità? «Il fatto è che qui qualcuno non capisce che l’Italia è in Europa e nel mondo - commenta Massimo Calearo, imprenditore e deputato Pd - Dobbiamo lavorare insieme all’Europa per avere regole comuni, altrimenti è il caos. Oggi è difficile che un prodotto sia tutto made in Italy: tutti hanno delocalizzato. L’impostazione della Lega forse va bene per i piccolissimi artigiani, destinati comunque a crescere pena l’estinzione. Spero che chi ha votato il Carroccio oggi capisca cosa ha fatto». A dirla proprio tutta, non andrebbe bene neanche per i piccolissimi: si pensi ai filati in cashmere, prodotto italiano ma con filati sicuramente stranieri. «La Filtea e i sindacati europei del tessile - aggiunge la segretaria Valeria Fedeli -hanno sempre combattuto per la trasparenza e la tracciabilità. Questa è la battaglia, non quella del semplice made in Italy. Con Prodi prima all’Ue e poi a Palazzo Chigi siamo riusciti adottenere un regolamento europeo, che però alcuni stati membri (soprattutto quelli del nord, che non producono abbigliamento, ma distribuiscono, ndr) non vogliono adottare. Il governo deve farsi valere a Bruxelles, che tra l’altro è titolare delle politiche commerciali, non produrre norme “autarchiche”».
Il pasticcio delle etichette si abbatte su comparti già in crisi nera, con la domanda bassissima e la produzione che resta ferma in dogana. Lo stesso vale per i trasportatori. La Confetra ha sfornato numeri da brivido sul primo semestre 2009: trasporti internazionali a -25% rispetto all’anno prima. E oggi si ritrova che clienti costretti a rivolgersi a olandesi e francesi. «Gran parte dei marchi italiani - spiega Pieri Luzzati, direttore generale Confetra - producono all’estero. Le leggi introdotte ricadono solo sugli italiani. Gli stranieri continuano come prima, gli italiani che non vogliono farsi travolgere sdoganano in un altro Paese. Per l’Italia c’è un duplice danno. I prodotti di qualità degli altri Paesi vengono avvantaggiati, e contemporaneamente si avvantaggia chi riesce ad aggirare le norme. È una legge autolesionista, che colpisce solo noi».
Per ora l’allarme è rimasto in sordina. Un po’ perché i nuovi regolamenti sono entrati in vigore in pieno agosto, un po’ per l’escamotage dell’autocertificazione introdotto in corsa. Ma nei porti già ai primi di settembre ci si attende il caos, con merci da sdoganare non si sa bene come, o carichi da bloccare. Finora ciascuno si è regolato come meglio ha creduto: Genova ha accettato l’autocertificazione, Taranto non ha segnalato merce bloccata o soggetta a ulteriori certificati. ma prima o poi la materia è destinata ad esplodere.Di qui la decisione di congelare tutto. Sempre che giovedì prossimo le nuove indicazioni siano chiare. Altrimenti per le dogane e per i porti sarà nuovo caos.
Fonte: Unità.it
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