Di Mino Fuccillo– Ne compie 150, su scala storica un’adolescente, ma venti anni fa è stata colpita da ictus. “Insulto cardiaco e vascolare” di cui spunta il segno sui “tracciati” del ritmo del suo cuore sociale, economico, culturale e politico. E’ l’Italia e va reso merito a La Stampa per aver elaborato e pubblicato questi esami e traccciati diagnostici. Il “segno ” è lì, tra la fine degli anni ottanta e gli anni novanta del secolo passato. Evidente, marcato, indiscutibile. Un “segno” che spezza in due la storia d’Italia. Prima ce n’era stato un altro, un’altra netta cesura: quella che divide e separa l’Italia dal 1861 da quella del 1948/9, quella del secondo dopoguerra. Il primo in ordine di tempo è il segno di un cuore che cresce e accelera il battito, il secondo è appunto la traccia di un ictus.
Dal 1861 al 1929 in Italia gode ed esercita il diritto di voto solo il 20 per cento della popolazione, quando va bene. Occorre aspettare il 1948 per avere un elettorato attivo pari al 60 per cento. Percentuale che continuerà a salire fino a cominciare a contrarsi dal 1996 in poi.
Nel 1861 gli analfabeti sono il 74,7 per cento della popolazione e restano sopra il 20 per cento fino alla seconda guerra mondiale. L’Italia impara a leggere e scrivere negli anni cinquanta.
Dal 1861 al 1949 gli italiani spendono per consumi vari circa mille euro annui di media. Negli anni cinquanta comincia, si vede netto il segno della nuova e diversa qualità della vita che porterà i consumi medi a circa 14mila euro annui del finire del secolo scorso.
Nel 1861 i delitti di sangue sono 7,7 su centomila abitanti, nel 2009 sono scesi a 1,04 su centomila abitanti. E la discesa comincia negli anni cinquanta, nonostante negli ultimi decenni l’opinione pubblica viva nella falsa percezione dell’assedio da delitti. Ovunque, in qualunque campo della vita associata, economia, cultura, politica, sicurezza, l’Italia degli anni cinquanta è altra e incomparabile cosa rispetto ai precedenti novanta anni di storia unitaria. E’ un’Italia che per decenni riesce e impara a vivere meglio, molto meglio di quanto le precedenti generazioni potessero neanche sognare.
Poi arriva l’ictus: si vede bene sul “tracciato”. La spesa pubblica che dal 1861 al 1950 è stata di circa mille euro ad abitante, poca, molto poca, esplode tra gli anni ottanta e novanta a 15mila euro ad abitante. E’ di oggi 14 marzo 2011, tre giorni prima del 150° compleanno, la cifra record del debito pubblico susseguente all’ictus da spesa: 1.880 miliardi di euro di debiti. Per capirci: se per quattro anni filati lo Stato non pagasse più un euro, niente scuole, stipendi, ospedali, incentivi, finanziamenti, pensioni… Quattro anni filati di fame e neanche andremmo in pari, infatti nel 2010 tutte le tasse pagate dagli italiani sono state pari a circa 400 miliardi di euro. Quattrocento per quattro fa 1.600, per andare in pari di anni di fame ce ne vorrebbero poco meno di cinque.
L’ictus è lì, nel debito che ha prodotto un’economia biascicante, semi paralizzata: bassi salari, scarsa produttività, molta rendita, tanta ricchezza accumulata, pochissima nuova ricchezza prodotta.
Negli stessi anni, tra gli ottanta e i novanta del secolo scorso, altra traccia massiccia di ictus. Il sistema, il percorso della formazione, la scuola e l’università smettono di essere luoghi della trasmissione e apprendimento del sapere e delle competenze e diventano luoghi di “socializzazione”. Si spezza la catena che produce cultura e civiltà. Si spezza per volontà e consenso generale, delle famiglie, degli studenti, della pedagogia cattolica e di sinistra, dei sindacati, delle varie destre di governo che al governo si avvicendano. In parallelo l’ictus si diffonde e diventa costume, la afasia da ictus culturale, l’incapacità di esprimersi e di formulare linguaggio viene negata come handicap ed esibita con orgoglio come lingua originaria e naturale della “gente”.
E l’ictus ovviamente colpisce la parte del cervello nazionale che presiede alla politica: ceto politico frutto di selezione alla rovescia, cioè i peggiori e gli inaffidabili. Politica che si auto riduce e auto proclama come distributrice di denaro pubblico e altra funzione per se stessa non contempla e neanche immagina. E corpo elettorale che la insegue ed incita in questa “mutazione”. L’ictus è lì, nei tracciati di un corpo giovane di una nazione giovane. La rende incerta e impedita nei movimenti, confusa nell’esprimersi, illogica nell’agire. Prognosi infausta? Per poterlo affermare o smentire occorrerebbe certezza e chiarezza su una diagnosi condivisa. Non ci sono dubbi, l’ictus è lì, sui tracciati. Non c’è nulla da scoprire, è tutto evidente. Ma tra poco, molto poco, saranno finiti o ridotti al silenzio anche quelli che i tracciati di un cuore giovane ma colpito da infarto son capaci di leggerli.
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Fonte: blitzquotidiano.it
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Dal 1861 al 1929 in Italia gode ed esercita il diritto di voto solo il 20 per cento della popolazione, quando va bene. Occorre aspettare il 1948 per avere un elettorato attivo pari al 60 per cento. Percentuale che continuerà a salire fino a cominciare a contrarsi dal 1996 in poi.
Nel 1861 gli analfabeti sono il 74,7 per cento della popolazione e restano sopra il 20 per cento fino alla seconda guerra mondiale. L’Italia impara a leggere e scrivere negli anni cinquanta.
Dal 1861 al 1949 gli italiani spendono per consumi vari circa mille euro annui di media. Negli anni cinquanta comincia, si vede netto il segno della nuova e diversa qualità della vita che porterà i consumi medi a circa 14mila euro annui del finire del secolo scorso.
Nel 1861 i delitti di sangue sono 7,7 su centomila abitanti, nel 2009 sono scesi a 1,04 su centomila abitanti. E la discesa comincia negli anni cinquanta, nonostante negli ultimi decenni l’opinione pubblica viva nella falsa percezione dell’assedio da delitti. Ovunque, in qualunque campo della vita associata, economia, cultura, politica, sicurezza, l’Italia degli anni cinquanta è altra e incomparabile cosa rispetto ai precedenti novanta anni di storia unitaria. E’ un’Italia che per decenni riesce e impara a vivere meglio, molto meglio di quanto le precedenti generazioni potessero neanche sognare.
Poi arriva l’ictus: si vede bene sul “tracciato”. La spesa pubblica che dal 1861 al 1950 è stata di circa mille euro ad abitante, poca, molto poca, esplode tra gli anni ottanta e novanta a 15mila euro ad abitante. E’ di oggi 14 marzo 2011, tre giorni prima del 150° compleanno, la cifra record del debito pubblico susseguente all’ictus da spesa: 1.880 miliardi di euro di debiti. Per capirci: se per quattro anni filati lo Stato non pagasse più un euro, niente scuole, stipendi, ospedali, incentivi, finanziamenti, pensioni… Quattro anni filati di fame e neanche andremmo in pari, infatti nel 2010 tutte le tasse pagate dagli italiani sono state pari a circa 400 miliardi di euro. Quattrocento per quattro fa 1.600, per andare in pari di anni di fame ce ne vorrebbero poco meno di cinque.
L’ictus è lì, nel debito che ha prodotto un’economia biascicante, semi paralizzata: bassi salari, scarsa produttività, molta rendita, tanta ricchezza accumulata, pochissima nuova ricchezza prodotta.
Negli stessi anni, tra gli ottanta e i novanta del secolo scorso, altra traccia massiccia di ictus. Il sistema, il percorso della formazione, la scuola e l’università smettono di essere luoghi della trasmissione e apprendimento del sapere e delle competenze e diventano luoghi di “socializzazione”. Si spezza la catena che produce cultura e civiltà. Si spezza per volontà e consenso generale, delle famiglie, degli studenti, della pedagogia cattolica e di sinistra, dei sindacati, delle varie destre di governo che al governo si avvicendano. In parallelo l’ictus si diffonde e diventa costume, la afasia da ictus culturale, l’incapacità di esprimersi e di formulare linguaggio viene negata come handicap ed esibita con orgoglio come lingua originaria e naturale della “gente”.
E l’ictus ovviamente colpisce la parte del cervello nazionale che presiede alla politica: ceto politico frutto di selezione alla rovescia, cioè i peggiori e gli inaffidabili. Politica che si auto riduce e auto proclama come distributrice di denaro pubblico e altra funzione per se stessa non contempla e neanche immagina. E corpo elettorale che la insegue ed incita in questa “mutazione”. L’ictus è lì, nei tracciati di un corpo giovane di una nazione giovane. La rende incerta e impedita nei movimenti, confusa nell’esprimersi, illogica nell’agire. Prognosi infausta? Per poterlo affermare o smentire occorrerebbe certezza e chiarezza su una diagnosi condivisa. Non ci sono dubbi, l’ictus è lì, sui tracciati. Non c’è nulla da scoprire, è tutto evidente. Ma tra poco, molto poco, saranno finiti o ridotti al silenzio anche quelli che i tracciati di un cuore giovane ma colpito da infarto son capaci di leggerli.
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Fonte: blitzquotidiano.it
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