Alle prese con la scelta dell’università di uno dei figli assisto alle discussioni tra i ragazzi che, in casa e su Internet, cercano e valutano possibilità e offerte. Dei 22 che sono in classe, 14 sono orientati ad andare a studiare all’estero, più della metà: non trattandosi di 14 famiglie in grado di mantenere un figlio per molti anni fuori casa sono pochissimi ormai coloro che possono permetterselo, e in genere in quei casi i figli vanno in università private i ragazzi cercano borse di studio o, in alternativa, possibilità di lavoro nel luogo dove intendono studiare. Scopro che moltissime università pubbliche, in Europa, chiedono una votazione media di accesso, variabile secondo le facoltà ma sempre piuttosto alta. Diciamo quello che una volta era tra il 7 e l’8. Per accedere alla borsa di studio il voto deve essere ancora più alto. Le discussioni fra diciottenni sono interessantissime. Quasi nessuno di loro si chiede più quale sia la facoltà più utile a trovare lavoro: l’idea che ci sia un corso di studi che garantisce l’accesso al lavoro più di altri, tipica della nostra generazione, è per loro scomparsa. Nessuna facoltà basta, da sola - pur in presenza di risultati eccellenti a garantire occupazione stabile. Del resto la stessa idea di occupazione stabile sembra loro qualcosa di remoto, tipico dei genitori e dei nonni. Così, tornano ad emergere le passioni. Si sceglie quel che piace. Forse in America, forse a Boston. Nella grande comunità italiana troverà di certo un posto da cameriere, la sera. Nessuno di noi genitori è in grado di consigliarli salvo coloro, certo, che hanno un’attività di famiglia da lasciare in dote. E salvo quelli che possono spendere moltissimo, naturalmente, per garantire ai figli un titolo in una di quelle università da 30 mila euro l’anno che selezionano anche per censo, da sempre, le classi dirigenti oltre che essere incubatrici di futuri matrimoni e unioni fra consimili. Siamo tornati a questo punto in pochissimi anni, la grande illusione della scuola pubblica del merito (e del lavoro che ne conseguiva) si è sciolta in un ventennio sotto i nostri occhi. Sono di oggi i nuovi dati sulla disoccupazione giovanile che ancora cresce.
I ragazzi, nei cineclub d’Europa, fanno la fila per vedere «Exit through the gift shop», il documentario di Bansky che racconta la vita degli artisti di strada. Uno di loro è l’autore del ritratto icona di Obama, un altro è Bansky, appunto, un autentico mito di cui si ignora la vera identità. È un mondo vivo, notturno e segreto in cui è possibile e in fondo facile riconoscersi: arrampicarsi sui tetti, scappare quando arriva qualcuno. Di giorno, nelle stesse strade, non c’è più posto per nessuno di loro. Di giorno la discussione è sul federalismo che Bossi pretende entro il mese: se ci fosse una ragione per cui i ragazzi dovrebbero appassionarvisi forse lo farebbero. Migliorerà la scuola, porterà più occupazione mantenendo intatta e possibilmente ampliando la libertà di tutti e di ciascuno? Se sarà questo avanti, ditelo e spiegate come. Nel frattempo sarebbe bene seguire l’invito di Napolitano: non sparare contro l’Italia in nome delle Regioni che la compongono. L’insensatezza al governo è qualcosa a cui non facciamo purtroppo quasi più caso, ma questa battaglia contro il tricolore e l’Italia unita in nome dei campanili d’origine dei cittadini che la compongono è tra tutte la più dissennata, vuota di senso. È proprio la più idiota.
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Fonte: Unita.it
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