A mia memoria, ma potrei sbagliare, il tentativo di invadere il Senato da parte di un corteo di studenti è un evento inedito. In decenni di movimenti sociali di ogni genere, a nessuno era mai venuto in mente di cercare di entrare nei palazzi delle massime istituzioni, Senato, Camera o Palazzo Chigi. Assediarli, circondarli, avvicinarsi tanto da far sentire la propria voce sì, è accaduto innumerevoli volte. E il fatto che qualche giorno dopo anche questo sia stato reso impossibile sigillando un’area molto vasta attorno a queste sedi istituzionali, anche questo evento contiene una novità.
Da una parte, studenti e ricercatori hanno comunicato chiaramente che non riconoscono o rispettano più la distanza tra cittadini e rappresentanti: la sacralità di cui il ruolo di parlamentare è stato investito dalla Costituzione e che è sopravvissuta, nonostante tutto, fin qui, si è di colpo sbriciolata. Dall’altra parte, i rappresentanti, e quelli che formalmente sono i loro delegati a governare il paese, si sono tramutati nel marziano a Roma, quello di Ennio Flaiano: un’astronave si è posata nel centro di Roma e ha alzato i suoi schermi protettivi per rendersi irraggiungibile dagli esseri umani. Mi pare che il primo episodio, quello del Senato, sia stato al tempo stesso opravvalutato e sottovalutato.
Si è esagerato in retorica, riflesso condizionato di un’altra epoca, quella appunto in cui chiunque accettava il fatto che lì, in quei palazzi, fosse depositata la sovranità popolare espressa con il voto. Ma, oltre queste condanne di circostanza,
non si coglie, da parte della politica, quanto l’autorevolezza della rappresentanza sia precipitata. La «crisi di sistema» di cui parla Massimo D’Alema è reale, benché la sua ricetta sia, come al solito, un misto di conservatorismo e di machiavellismo: mettiamo insieme tutti quelli che sembrano portare rispetto per le istituzioni e in questo modo saniamo la ferita aperta dal quindicennio berlusconiano. Occorre ben altro, e l’aspettativa che si è creata attorno alla figura di Nichi Vendola vuol dire, almeno dal lato della credibilità dei politici, che molti vanno cercando qualcosa o qualcuno che scarti nettamente dalla deriva del sequestro delle istituzioni da parte di partiti e lobby. Ad esempio: perché i finiani hanno votato la legge Gelmini sull’università? Risposta: solo per una scelta tattica, perché non gli conveniva, far cadere con la legge anche il governo, vogliono aspettare il 14 dicembre. Morale: della rivolta generalizzata di studenti e docenti non gli interessa in realtà nulla. Come sempre, ogni questione, anche la più drammatica o urgente, diventa una pedina nell’ossessivo e autistico Risiko che la politica gioca con se stessa.
Una riprova è quel che sta accadendo nelle grandi città dove in primavera si voterà per rinnovare i sindaci. Il centrosinistra sembra oscillare tra la ricerca di candidati-vetrina e la riproposizione dei soliti noti. A Milano, com’è noto, il giocattolo si è rotto grazie a Giuliano Pisapia e alla miriade di associazioni che ne hanno sostenuto la candidatura nelle primarie. E a Bologna potrebbe ripetersi lo stesso fenomeno. Ma a Torino il sindaco uscente, Chiamparino, l’uomo convinto di poter battere Vendola alle primarie nazionali, ha proposto di candidare Piero Fassino, già segretario dei Ds, già ministro e oggi senza un incarico preciso.
Sembra facile: uno si alza dalla sedia e la offre al suo socio. Gli elettori devono solo dire sì. Ed è quel che è capitato a Roma due anni fa quando, andato via Walter Veltroni per candidarsi a «premier » contro Berlusconi, il posto di sindaco di Roma fu offerto a Francesco Rutelli, che era già stato sindaco della città prima di Veltroni e, nelle elezioni nazionali precedenti, candidato «premier» contro Berlusconi. Il risultato è che oggi sindaco di Roma è Gianni Alemanno. Ma lo stesso fenomeno si sta producendo a Napoli: dei tre candidati attuali alla candidatura a sindaco due provengono dalla vecchia nomenclatura bassoliniana, il terzo dall’antico Pci, e lo stesso Bassolino, che forse perfino spera di ridiventare sindaco dopo i trionfi regionali, dice che sono impresentabili.
Per chi voteranno i cittadini che organizzano da sé la raccolta differenziata o gli studenti che vanno a manifestare a Pompei, tra un crollo e l’altro? Chi ridarà loro la politica perduta?
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