La storia che vorrei raccontarvi oggi è quella di Ikea che apre in Sicilia. Per l’esattezza aprirà, forse, in primavera. A Catania. Manuela Modica, che segue la vicenda dal 2007 quando ci fu il primo falso allarme - arriva? Forse. No, non arriva. E’ per via della mafia. No, è per certe incomprensioni di tipo industriale, questioni tecniche. Bah - racconta che questa volta è fatta, lo dicono con accento milanese gli italiani che lavorano per gli svedesi, i manager arrivati dal Nord Italia per aprire alla periferia di Catania 31mila metri quadrati di un mondo da sogno, il mondo fai da te. Il sogno è principalmente quello di un posto di lavoro, naturalmente. Solo molto in secondo piano quello di avere in casa una libreria Ivar a 8 euro a montante senza andare a Napoli, in carovana, a comprarla. Lo stabilimento di Catania prevede 240 addetti e un centinaio di persone nell’indotto. Per 240 posti sono arrivati 47 mila curricula. La Sicilia nel secondo trimestre del 2010 ha prodotto 20mila disoccupati più dell’anno scorso. Gli aspiranti impiegati Ikea sono in maggioranza laureati con lode. Bisogna contare fino a 47 mila, ci vuole del tempo. Bisogna pensare che ogni numero è una persona, spesso una giovane persona, molto spesso una giovane donna. Poi bisogna pensare alla lotteria che ne estrae 240, chissà mai con quale criterio («devono essere rappresentativi della popolazione locale», dicono i dirigenti, il che non chiarisce)e immaginare, di seguito, il tipo di attesa febbrile che nei tinelli di casa, dei bar del corso e nelle aule delle università si è impossessato delle migliaia di giovani, a Catania. Magari arriva davvero Ikea, poi cosa vuoi che sia se ti cronometrano il tempo per andare in bagno, pazienza, fanno bene, l’efficienza è la prima cosa, siamo tutti d’accordo, cominciamo con l’efficienza della prostata.
Siamo in Italia, parliamo di noi. Domani sciopera la Rai, il cui modello di riforma prevede migliaia di tagli: soprattutti gli artigiani (costumisti, truccatori, tecnici) i cui servizi costano meno se “esternalizzati”. Anche al Teatro dell’Opera i costumi fatti fare dai cinesi costano meno, pazienza per gli eredi della sartoria Tirelli e un caro saluto al premio Oscar Gabriella Pescucci, gli Oscar del nuovo millennio saranno probabilmente cinesi come molto altro, del resto. Scioperano anche i lavoratori dello spettacolo, che chiedono il ripristino del 5 per mille e scrivono a Napolitano. Bussano al governo ma di là non c’è nessuno. Mancano 5 giorni al 14, la compravendita di voti è l’unico affare in corso.
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