L’ultimo in ordine di tempo è stato Giovanni Conso, ministro della Giustizia nei governi Amato e Ciampi dal febbraio '93 al marzo '94. Sentito in Antimafia, Conso ricorda all’improvviso ciò che non aveva mai rivelato in 17 anni: “Nel novembre '93 decisi di non rinnovare il 41-bis a 140 mafiosi ed evitai così nuove stragi. Ma non c’è mai stato alcun barlume di trattativa. Decisi in piena solitudine senza informare nessuno: né i funzionari del ministero, né il Consiglio dei ministri, né il premier Ciampi, né il capo del Ros Mario Mori, né il Dap. Non fu per offrire una tregua, una trattativa, una pacificazione, ma per vedere di fermare la minaccia di altre stragi. Dopo le bombe del '93 a Firenze, Milano e Roma, Cosa Nostra taceva. Riina era stato arrestato, il suo successore Provenzano era contrario alle stragi, dunque la mafia adottò una nuova strategia non stragista”. Giustamente Luigi Li Gotti, avvocato di molti pentiti e deputato Idv, commenta: “Indirettamente Conso conferma la trattativa Stato-mafia”, ma rivela pure che “c’era stata una ‘comunicazione’ di Provenzano sull’abbandono della strategia stragista” e che “il governo sapeva che dietro le stragi c’era Cosa Nostra e il 41-bis”. Checché Conso tenti di minimizzarle, sono notizie clamorose (infatti il Pompiere della Sera non vi dedica nemmeno mezza riga): lo Stato e l’Antistato si parlavano. Altrimenti, come faceva Conso a sapere che “Provenzano era contrario alle stragi”, visto che proprio nel novembre '93 fallì per un guasto tecnico il mega-attentato all’Olimpico che doveva essere ripetuto (stavolta con successo per Cosa Nostra) nel gennaio '94 e fu poi misteriosamente annullato in extremis? E come faceva Conso a sapere che proprio non rinnovando il 41-bis a 140 mafiosi si sarebbero “evitate nuove stragi”? Chi era dunque il trait d’union fra Stato e mafia? Se, in quei mesi, Vittorio Mangano faceva la spola fra Palermo e Milano2 per incontrare Dell’Utri negli uffici di Publitalia dove stava nascendo Forza Italia, resta da capire chi informasse il governo Ciampi, sostenuto da quel che restava del pentapartito, su richieste e scelte di Cosa Nostra. E comunque basta questo per parlare di trattativa. Altro che “nessun barlume”. Conso non è credibile quando giura di aver fatto tutto da solo. Perché nel 2003, sentito dal pm fiorentino Chelazzi proprio sulla revoca di quel 41-bis, non disse nulla di quel che dice oggi? La storia del biennio nero 1992-'93 è piena di “servitori dello Stato” che fanno strane cose con la mafia, poi se le scordano per 17 anni e ritrovano la memoria solo quando un mafioso pentito, Gaspare Spatuzza e il figlio di un mafioso, Massimo Ciancimino, raccontano la trattativa. Nel giugno '92, dopo Capaci, i capi del Ros Mori e De Donno incontrano Vito Ciancimino perché faccia da tramite con i boss. Il ministro Martelli, predecessore di Conso, manda la giudice Ferraro a informarne Borsellino.
Questi incontra Mori e De Donno, che però dicono di non aver parlato di trattativa. Il 1° luglio, mentre incontra il pentito Mutolo, Borsellino viene convocato d’urgenza al Viminale dove s’è appena insediato Mancino e ne esce sconvolto, anche perché gli han fatto incontrare Contrada che Mutolo si accinge ad accusare. Diciotto giorni dopo salta in aria in via D’Amelio e dalla scena del delitto scompare la sua agenda rossa. A fine anno Mori tenta di convincere Violante, presidente dell’Antimafia, a incontrare Ciancimino, invano. Anche Violante, come Martelli, Ferraro e Conso, impiega tre lustri per ricordare l’episodio. Ma tutti negano la trattativa e giurano di aver agito a titolo personale. E il papello che invocava la fine del 41-bis? Un falso. E la mancata perquisizione del covo di Riina nel '93? Un disguido. E il mancato arresto di Provenzano nel '95? Un equivoco. E il mancato ritrovamento del papello a casa Ciancimino nel 2005? Ops... Tutti trattavano con la mafia, ma a loro insaputa.
Fonte: Il Fatto Quotidiano del 13 novembre, in edicola
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