ROMA - Arcangelo Martino, "l'uomo che parla", il più fragile degli indagati nell'inchiesta P3, l'ex assessore socialista che nulla ha più da perdere perché ha già perso tutto - ha tentato il suicidio in cella dopo la morte della moglie - lascia dopo quasi tre mesi il carcere di Poggioreale per tornare nella sua casa di Napoli, che da oggi sarà, per ordine del gip Giovanni De Donato, la sua nuova prigione. Non recupera la libertà, nonostante il parere favorevole della Procura di Roma e come pure avevano chiesto i suoi avvocati Giuseppe De Santis e Simone Ciotti dello studio Lucente Corrias dopo il suo ultimo interrogatorio del 24 settembre. Guadagna gli arresti domiciliari per i quali, scrive il gip nella sua ordinanza, "viene prescritto un regime di controlli e vigilanza particolarmente intensi e scrupolosi" e che comunque torneranno ad essere domani oggetto di una nuova discussione del Riesame. La ragione - si legge nel provvedimento - è che questo ultrasessantenne emotivamente annichilito sembra aver convinto tutti meno il magistrato che avrebbe dovuto scarcerarlo. "Le dichiarazioni rese al pm il 19 agosto e il 24 settembre 2010 - scrive il gip - sono solo parzialmente veritiere e in buona parte elusive del reale ruolo svolto". Martino - osserva il gip - si dice "inconsapevolmente strumentalizzato da Pasquale Lombardi", mentre, al contrario, "come emerge dagli atti e dalle intercettazioni" sono "lui e Carboni a usare Lombardi come strumento". E ancora: "Martino, che pure non smentisce i suoi stretti rapporti con Flavio Carboni e Marcello Dell'Utri, tende tuttavia a configurare per Carboni il ruolo essenziale di tramite con Dell'Utri e Denis Verdini per scopi che chiarisce solo in parte".
Il gip avrà pure ragioni per dubitare. E tuttavia, come è documentato da nuovi significativi dettagli raccolti nell'interrogatorio del 19 agosto scorso, Martino sembra davvero aver vinto ogni reticenza. Nella sua deposizione (la cui sostanza è stata per altro ribadita e puntualizzata nell'interrogatorio del 24 settembre), c'è un convinto e insistito coinvolgimento del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta e dello stesso premier Silvio Berlusconi nel lavoro di interferenza o comunque nei tentativi di interferenza che i tre (Martino, Carboni e Lombardi) hanno svolto nel tempo sulla vicenda della pronuncia della Corte Costituzionale sul "lodo Alfano", sulla controversia fiscale Mondadori, sulle candidature a cariche elettive, sulle nomine di magistrati a incarichi direttivi. "Lombardi e Gianni Letta si conoscono da 15 anni - spiega Martino al procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo - e avevano un rapporto di consuetudine. Capitava spesso che Lombardi lo chiamasse al telefono davanti a me. E so che, spesso, lo andava a trovare di persona. In genere il mercoledì, quando saliva a Roma. In un'occasione lo accompagnai a Palazzo Chigi, anche se rimasi ad attenderlo nell'anticamera". Di cosa parlavano i due? "Di magistrati?", chiede il pm. "No. Parlavano di nomine, di candidature di deputati, senatori, sottosegretari". Sicuramente, chiosa Martino, "Dell'Utri e Verdini ripetevano spesso che tutte le "soluzioni"" escogitate, "andavano sottoposte a Berlusconi". A cominciare dallo spostamento alle sezioni unite della Cassazione del contenzioso fiscale Mondadori. Mossa escogitata da Lombardi ("Ne parlammo una prima volta al ristorante da "Tullio". Lui si alzò e disse: vado a parlarne in Cassazione") e di cui - ricorda - "si discusse poi a casa di Verdini, concordando che lo spostamento della causa alle sezioni unite fosse un'ottima cosa, utile per prendere tempo in attesa che si provvedesse per legge".
Insomma, evapora la favola dei "pensionati sfigati". Soprattutto se è vero che ad un certo punto ai tre si aprono le porte del Presidente, per il quale, per altro, Martino e Lombardi pure avrebbero una richiesta. Che il loro sbattersi "per la causa" venga compensato con un seggio in Parlamento nella prossima legislatura. "Un giorno - racconta Martino - Lombardi mi chiese se volevo conoscere di persona il Presidente e accompagnarlo da lui". Non se ne fa nulla. O, almeno, non se ne fa nulla per Martino perché, dice, a lui non piace chi dovrebbe introdurli a Berlusconi. E' la 35enne deputata beneventana Nunzia De Girolamo, "la Carfagna del Sannio". La De Girolamo incontra Martino, Carboni e Lombardi "almeno tre volte", nel loro "ufficio", al tavolo del ristorante "da Tullio". Ma quando arriva il momento di essere ricevuti a palazzo Grazioli, Martino si tira indietro. "Io sono contrario a queste cose - dice al procuratore Capaldo - A queste belle donne che diventano ministre".
Fonte: Repubblica.it
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