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Detenuto suicida nel carcere di Padova: 13 casi da inizio anno

Giuseppe Sorrentino, 35 anni, si è ucciso questa mattina alle 10.30 nella Sezione “Protetti” della Casa di Reclusione di Padova. L’uomo, che era in cella da solo, si è impiccato alle sbarre della finestra del bagno mentre gli altri detenuti erano fuori dalla Sezione per “l’ora d’aria”.

Sono stati proprio i compagni, dal cortile, ad accorgersi di ciò che stava accadendo e a dare l’allarme, ma quando gli agenti sono entrati in cella per soccorrerlo Sorrentino era già morto.

Di origini campane, era in carcere già da diversi anni e la detenzione lo aveva duramente provato: infatti manifestava da tempo segni di profondo disagio ed era reduce da un lungo sciopero della fame che lo aveva debilitato. Ricoverato più volte in Ospedale e in Centro Clinico Penitenziario, ogni volta al ritorno in carcere riprendeva la sua protesta, lamentando in particolar modo una scarsa attenzione alle sue problematiche da parte degli operatori penitenziari.

Il suicidio di Sorrentino è il secondo in meno di due settimane nella Casa di Reclusione di Padova, dove il 23 febbraio scorso, nella stessa Sezione, si tolse la vita Walid Alloui, che aveva soli 28 anni.

Dall’inizio dell’anno salgono così a 13 i detenuti suicidi (vedi tabella) e a 31 il totale dei morti “di carcere” (che comprendono i decessi per malattia e per cause “da accertare).



Detenuti suicidi da inizio anno



A seguito di questo ennesima tragedia ribadiamo che in tutte le carceri andrebbero adottate delle “regole minime di prevenzione del suicidio”, che abbiamo messo a punto con l’aiuto di detenuti e operatori penitenziari : Si tratta sostanzialmente di “buone pratiche”, che possono essere utilmente adottate senza dover attendere modifiche normative:


Cosa non fare con un detenuto “a rischio”

  • · non metterlo nella cosiddetta “cella liscia”;
  • · non togliergli tutto quello che potrebbe usare per suicidarsi: se vuole trova lo stesso il modo;
  • · non controllarlo in modo ossessivo;
  • · non minacciare di mandarlo in “osservazione” all’Ospedale Psichiatrico Giudiziario.

Cosa non fare con tutti i detenuti

  • · non creare “sezioni ghetto”;
  • · non aspettare che chiedano aiuto;
  • · non sottovalutare i tentativi di suicidio e le autolesioni, considerandoli “dimostrativi”;
  • · non applicare sanzioni o punizioni per atti autolesionistici o tentativi di suicidio;
  • · non esprimere un giudizio morale sugli atti autolesionistici o i tentativi di suicidio;
  • · non suggerire (provocatoriamente) di “tagliarsi” per ottenere qualcosa.

Cosa fare:

  • · dare attenzione alla persona (Gruppi di attenzione e di ascolto sono presenti in alcune carceri) durante tutto il periodo detentivo, e non solo limitandosi al primo ingresso, o alla fase di accoglienza;
  • · aumentare le possibilità di lavoro e di attività intramurarie;
  • · cercare di credere a quello che le persone detenute dicono, rispetto ai problemi propri o dei compagni;
  • · ridefinire il concetto di rischio suicidario: il suicidio viene spesso visto come una malattia;
  • · migliorare il contesto relazionale all’interno della struttura;
  • · pensare a sostenere l’autore di reato nel rielaborare il reato commesso;
  • · pensare a una mediazione tra l’autore di reato e la sua famiglia;
  • · sostenere la persona detenuta in una sua progettualità;
  • · fare più formazione a tutto il personale.


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