PARMA - «La Parmalat è stata la più bella impresa italiana». Così Calisto Tanzi, ex patron della multinazionale di Collecchio, ai microfoni Rai prima di entrare nella sala di udienza del processo agli ex amministratori del gruppo in corso a Parma. «Io dico sempre la verità», ha aggiunto poi l'imprenditore, rispondendo ai cronisti che gli chiedevano cosa avrebbe detto oggi in aula.
«NON MI OCCUPAVO DI BILANCI» - «La parte finanziaria del Gruppo non l'ho mai seguita di persona, si può dire che non la conoscevo» ha poi detto ai magistrati riassumendo la propria posizione nel gruppo al momento del crac e attribuendo di riflesso all'allora direttore finaziario Fausto Tonna le falsificazioni di bilancio e gli artifici finanziari che hanno consentito alla Parmalat di rimanere sul mercato nonostante il buco da 14 miliardi.
Di fatto, tra un «non ricordo» e un «non ne ero a conoscenza», Tanzi ha rispedito al mittente le accuse che Tonna gli ha rivolto in aula sul suo ruolo di burattinaio della multinazionale alimentare di Collecchio. Seppur dotato di tutti i poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione, Tanzi ha sostenuto di non aver mai concertato nè essere stato l'ispiratore delle operazioni finanziarie e degli aggiustamenti di bilancio che, per almeno un decennio, hanno consentito al Gruppo indebitato fino al collo di continuare ad operare come se nulla fosse stato.
«LE BANCHE SAPEVANO» - Sulle falsificazioni presenti nei libri contabili Tanzi ha spiegato di non averne mai discusso ma di sapere che esse già dal 2002 costituivano un fatto conosciuto anche dalle banche che per questo non credevano «nella rappresentazione del nostro bilancio». Per quanto riguarda invece i consiglieri di amministrazione e in particolare Luciano Silingardi e Paolo Sciumè, Tanzi ha sostenuto che non sapessero dell'inesistenza della liquidità che Parmalat iscriveva a bilancio ma che «potevano guardare la situazione economica del Gruppo attraverso la centrale rischi e capire cosa succedeva». Silingardi si dimise nel 2003 dopo che Tanzi gli rivelò in una riunione del cda appositamente convocata della inesistenza della liquidità. Nel 2002, all'atto di partire per Roma in occasione di una riunione con i principali istituti di credito che finanziavano il suo Gruppo (Imi-Sanpaolo, Capitalia e Bancaintesa), Tonna consegnò a Tanzi un foglietto sul quale l'ex direttore finanziario aveva annotato l'ammontare del buco all'epoca rilevato. «Io - ha spiegato Tanzi - non ne sapevo nulla, nel senso che non conoscevo quanto era indebitato il Gruppo». Al pm Vincenzo Picciotti che gli ha fatto notare come tutte le operazioni portassero la sua firma, Tanzi ha risposto: «Ho sempre detto che dopo venivo messo a conoscenza degli aggiustamenti fatti ma non sapevo nè come nè quando. Non ero proprio capace. Io quelle operazioni le ho solo ratificate».
SOSPENSIONE E RINVIO - L'udienza è stata però sospesa nel pomeriggio. Già prima della pausa pranzo Tanzi aveva manifestato difficoltà a proseguire l'udienza. Alla ripresa dell'interrogatorio ha cominciato a balbettare e l'udienza è stata quindi rinviata a lunedì prossimo. «Data la difficoltà espressiva che incontra l'imputato, l'attività istruttoria ne risulta assolutamente complicata. Sarebbe bene procedere ad un rinvio», ha detto ad un certo punto il pm Vincenzo Picciotti rivolgendosi alla presidente del Collegio Eleonora Fiengo. «È dal 2003 che mi succede», ha spiegato l'ex proprietario di Parmalat.
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«NON MI OCCUPAVO DI BILANCI» - «La parte finanziaria del Gruppo non l'ho mai seguita di persona, si può dire che non la conoscevo» ha poi detto ai magistrati riassumendo la propria posizione nel gruppo al momento del crac e attribuendo di riflesso all'allora direttore finaziario Fausto Tonna le falsificazioni di bilancio e gli artifici finanziari che hanno consentito alla Parmalat di rimanere sul mercato nonostante il buco da 14 miliardi.
Di fatto, tra un «non ricordo» e un «non ne ero a conoscenza», Tanzi ha rispedito al mittente le accuse che Tonna gli ha rivolto in aula sul suo ruolo di burattinaio della multinazionale alimentare di Collecchio. Seppur dotato di tutti i poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione, Tanzi ha sostenuto di non aver mai concertato nè essere stato l'ispiratore delle operazioni finanziarie e degli aggiustamenti di bilancio che, per almeno un decennio, hanno consentito al Gruppo indebitato fino al collo di continuare ad operare come se nulla fosse stato.
«LE BANCHE SAPEVANO» - Sulle falsificazioni presenti nei libri contabili Tanzi ha spiegato di non averne mai discusso ma di sapere che esse già dal 2002 costituivano un fatto conosciuto anche dalle banche che per questo non credevano «nella rappresentazione del nostro bilancio». Per quanto riguarda invece i consiglieri di amministrazione e in particolare Luciano Silingardi e Paolo Sciumè, Tanzi ha sostenuto che non sapessero dell'inesistenza della liquidità che Parmalat iscriveva a bilancio ma che «potevano guardare la situazione economica del Gruppo attraverso la centrale rischi e capire cosa succedeva». Silingardi si dimise nel 2003 dopo che Tanzi gli rivelò in una riunione del cda appositamente convocata della inesistenza della liquidità. Nel 2002, all'atto di partire per Roma in occasione di una riunione con i principali istituti di credito che finanziavano il suo Gruppo (Imi-Sanpaolo, Capitalia e Bancaintesa), Tonna consegnò a Tanzi un foglietto sul quale l'ex direttore finanziario aveva annotato l'ammontare del buco all'epoca rilevato. «Io - ha spiegato Tanzi - non ne sapevo nulla, nel senso che non conoscevo quanto era indebitato il Gruppo». Al pm Vincenzo Picciotti che gli ha fatto notare come tutte le operazioni portassero la sua firma, Tanzi ha risposto: «Ho sempre detto che dopo venivo messo a conoscenza degli aggiustamenti fatti ma non sapevo nè come nè quando. Non ero proprio capace. Io quelle operazioni le ho solo ratificate».
SOSPENSIONE E RINVIO - L'udienza è stata però sospesa nel pomeriggio. Già prima della pausa pranzo Tanzi aveva manifestato difficoltà a proseguire l'udienza. Alla ripresa dell'interrogatorio ha cominciato a balbettare e l'udienza è stata quindi rinviata a lunedì prossimo. «Data la difficoltà espressiva che incontra l'imputato, l'attività istruttoria ne risulta assolutamente complicata. Sarebbe bene procedere ad un rinvio», ha detto ad un certo punto il pm Vincenzo Picciotti rivolgendosi alla presidente del Collegio Eleonora Fiengo. «È dal 2003 che mi succede», ha spiegato l'ex proprietario di Parmalat.
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