MILANO - La ripresa è ancora «fragile» e ci sono le incognite dell' autunno caldo delle imprese. E' presto per dire come gli istituti chiuderanno i bilanci 2009. Ma gli utili del primo semestre sono stati portati in cascina, non solo dai colossi Usa: 5,2 miliardi per Bank of America, 4,2 per Citi, 3,7
per Goldman sachs e 3,4 per Jp Morgan. Risultati migliori delle aspettative. Tanto che sono state diverse le banche a liberarsi in anticipo degli aiuti dell'amministrazione Obama. E in Italia? Le principali banche non hanno saltato l'appuntamento del semestre: Unicredit ha chiuso con 900 milioni di utili. Intesa Sanpaolo con 1,5 miliardi. Mps ha portato a casa 300 milioni. Insomma, il sistema del credito si mostra reattivo. Eppure, a giudicare dai primi segnali, il canale di trasmissione dei benefici non sembra aver portato molto allo sportello.Per la clientela i costi rimangono alti proprio mentre l'accesso al denaro per le banche è quasi ridotto a zero. Insomma, è come se le famiglie fossero ancora nell'occhio del ciclone della crisi e le banche no. I segnali sono molti. Prima di tutto ci sono gli spread che si stanno allargando: in luglio la forbice tra i tassi applicati dalle banche sui nuovi mutui rilevati da Bankitalia e il tasso di sconto della Bce è salita al 2,75%, ai massimi dal 2003. Se si prendesse in considerazione quella con i tassi applicati ai depositi in conto corrente si passerebbe al 3,25%.
Mentre per il credito al consumo considerando il Taeg, cioè anche le commissioni, il «guadagno» balza addirittura sopra l'8%. Certo, le banche devono ripagare i costi dei servizi offerti. Non ci piove. Ma per buona parte del 2008, fino all'esplosione del bubbone finanziario, quella stessa forbice tra fixed rate Bce e Taeg (anche qui rilevazioni Bankitalia) era di poco superiore al 5%. Segno che anche qui si starebbe verificando un fenomeno molto simile a quello che si registra tra petrolio e benzina. D'altra parte il riequilibrio tra interessi attivi e passivi era stato uno dei punti di forza della «lenzuolata» Bersani che però, nei vari passaggi, era stato depotenziato fino quasi a scomparire. Ma c'è un altro caso che sembra testimoniare più degli altri quanto il percorso per i consumatori sia a ostacoli. L'addio alle commissioni di massimo scoperto. Ovvero, quell'addio che rischiava di non esserci se non fosse stato per un intervento del governo.
In occasione del passaggio alle nuove regole a partire dal 1 giugno scorso le principali banche avevano ingegnerizzato un nuovo sistema di commissioni che - a conti fatti - rischiava di peggiorare le cose allo sportello: i tassi trimestrali introdotti sfioravano l'1% ed erano dovuti anche senza l'utilizzo effettivo del fido. Solo l'intervento del governo ha permesso di porre dei paletti allo 0,5% trimestrale.
Gli esempi potrebbero continuare: nel settore delle gestioni di fondi, come ha rilevato Mediobanca, le commissioni sono pari in media all'1,2% del patrimonio, il doppio rispetto agli Usa. Ma anche al resto dell'Europa secondo Morningstar. O, ancora, c'è il segnale delle nuove commissioni per ora introdotte da Mps e Fideuram sui «consigli» d'investimento allo sportello. Anche se il realtà, a parte questa eccezione, con l'entrata a pieno regime della Mifid per le banche sta diventando più complicato costruire i bilanci solo sui costi dei servizi.
Ci vorrà sempre di più un rapporto di qualità con i clienti. Come sembra stia avvenendo sul fronte del credit crunch verso le imprese grazie alla partecipazione delle grandi banche alla moratoria per i debiti aziendali. Ma per le famiglie allo sportello il percorso sembra ancora più lungo.
Fonte: Corriere.it
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