La spia dell’«allarme rosso» si è accesa probabilmente nel cruscotto dell’entourage berlusconiano dopo la lettura dell’articolo pubblicato da Libero il 4 settembre sotto il titolo: «Pentiti ad orologeria, a Milano il solito collaboratore di giustizia che accusa il premier». Racconta alcune indiscrezioni sulle nuove indagini condotte da Ilda Boccassini
sui rapporti, intrattenuti nel periodo delle stragi tra alcune società dei fratelli mafiosi Giuseppe e Filippo Graviano, boss stragisti di Brancaccio arrestati a Milano, e società vicine al gruppo Fininvest.Ma al di là delle indiscrezioni, in questo momento, probabilmente, sono due persone, assai diverse tra loro, a togliere la tranquillità al sonno di Berlusconi: il pentito di mafia Gaspare Spatuzza e il figlio del sindaco mafioso di Palermo Massimo Ciancimino. Dopo un lungo periodo di stasi delle indagini antimafia sulle stragi del ’92-’93, le dichiarazioni dei due testimoni hanno impresso una svolta alle indagini condotte dalle procure di Palermo, Caltanissetta, Firenze e Milano non solo sugli aspetti ancora oscuri delle stragi, ma anche sulla trattativa mafia-Stato avviata parallelamente a quella stagione definita nelle inchieste «eversiva» e nella quale, è ormai accertato dalle indagini, sono coinvolti personaggi dei servizi segreti in combutta con i boss mafiosi.
La tesi giudiziaria è che le stragi siano servite a cancellare il vecchio sistema politico per spianare la strada agli uomini della Seconda repubblica. Ed in questo contesto si inseriscono le dichiarazioni di Spatuzza, che nel 1992 era l’uomo di fiducia dei Graviano, ritenuti dalle indagini condotte dalla Dia quindici anni fa i mafiosi più attenti alla nascita di Forza Italia, alla quale avrebbero prestato uomini e assistenza nel palermitano; maSpatuzza e anche il testimone che ribalta la ricostruzione, finora accettata anche dalla Cassazione, sugli esecutori della strage di via D’Amelio, spostando le responsabilità dalla famiglia mafiosa di Santa Maria di Gesù a quella di Brancaccio, guidata dai Graviano, appunto, confessando di avere rubato l’auto utilizzata per la strage in cui si perse la vita il giudice Paolo Borsellino. Una strage, è un’altra delle tesi giudiziarie, compiuta per accelerare la trattativa tra mafiosi e uomini delle istituzioni della quale ha parlato Massimo Ciancimino, che di quegli incontri tra ufficiali del Ros e suo padre, ritenuto un «ambasciatore» dei corleonesi, fu testimone oculare.
Le informazioni di Massimo Ciancimino su presunti rapporti tra Cosa Nostra ed il gruppo imprenditoriale del presidente del consiglio sarebbero più ampie, ed in parte già consegnate ai magistrati di Catania che lo hanno interrogato a lungo. Se ne riparlerà il 17 settembre prossimo, data della ripresa del processo di appello a Marcello Dell’Utri, condannato a 9 anni per mafia: tra i testimoni citati dal pg Antonino Gatto c’è anche il giovane Ciancimino.
Fonte: Unita.it
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