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Incontro Bossi - Fini. Fallito. "Fel, non arretra"


ROMA - Gianfranco Fini non arretra. «Mi ha riferito le stesse cose che ha detto da Perugia» ha spiegato il leader della Lega, Umberto Bossi, lasciando Montecitorio dopo il faccia a faccia con il presidente della Camera. Il quale, dal palco di Bastia Umbra, aveva invitato la maggioranza a una svolta e aveva chiesto, come condizione per l'avvio di una nuova fase, le dimissioni di Silvio Berlusconi. Il quale, impegnato in Corea del Sud per il vertice del G20, non ha nascosto nei colloqui con gli altri leader di avere qualche difficoltà sul fronte interno. Dal faccia a faccia Bossi-Fini sembra essere emerso dunque un nulla di fatto che ha subito spinto il leader del Pd Pier Luigi Bersani ad immaginare un governo di transizione anche con Fli e Lega. Per il segretario dei democratici serve «un governo di transizione perché - spiega - vogliamo una ripartenza, non una nuova palude, perciò il tratto evidente dovrà essere la discontinuità».

NO COMMENT DEI MINISTRI - L'incontro tra Bossi e Fini - che aveva l'obiettivo di ricucire i rapporti tra il leader di Futuro e Libertà e il resto della maggioranza e, soprattutto, di trovare una possibile via di uscita dalla crisi di fatto che si è aperta nell'esecutivo con l'annuncio dell'imminente fuoriuscita dal governo degli esponenti finiani (e di conseguenza il possibile venir meno dei voti dei suoi gruppi parlamentari) - è durato poco meno di un'ora. Bossi era stato accompagnato dai ministri Maroni e Calderoli che, avvicinati dai giornalisti, hanno evitato di rilasciare dichiarazioni: «Non ho nulla da dire» si è limitato a commentare Roberto Maroni. E Roberto Calderoli: «L'incontro? Noi non c'eravamo...». I due esponenti del governo non hanno voluto neppure dire se la riunione fosse andata bene o male. Solo un filo più loquace, ma senza sbilanciarsi sui contenuti del mini-summit, Roberto Cota, governatore del Piemonte: «Mi aspetto che il nostro lavoro costruttivo sortisca effetti nell'interesse di tutti».

RIUNITI GLI STATI MAGGIORI - Dopo l'incontro, sia Fini che Bossi hanno riunito alcuni dei principali esponenti dei rispettivi partiti. Il presidente della Camera è stato raggiunto nel suo studio dal capogruppo di Fli Italiano Bocchino e dal sottosegretario all’Ambiente Roberto Menia, a cui si sono poi aggiunti il viceministro allo Sviluppo economico, Adolfo Urso, e Flavia Perina, deputato di Fli e direttore del Secolo d'Italia. Anche Bossi ha deciso di incontrare il suo stato maggiore direttamente nella sede della Camera: tra gli altri, sono stati segnalati il capogruppo dei deputati leghisti, Marco Reguzzoni, e il ministro dell'Interno Roberto Maroni. Curiosità da sottolineare: Bossi, per arrivare negli uffici della Lega, invece di percorrere i corridoi di Montecitorio, è uscito dal palazzo della Camera, è entrato in macchina ed è rientrato da un altro ingresso, quello appunto dei gruppi.

«INUTILE TRACCHEGGIARE» - Qualunque cosa si siano detti Bossi e Fini, per il Pd la crisi è comunque conclamata. «Qualsiasi incontro sposta di poco la situazione che è quella che è, chi la nega, chi traccheggia, fa un danno al Paese» ha detto Bersani. A chi gli ha riferito che, all'uscita dell'incontro, Roberto Maroni ha spiegato di non aver nulla da dire, il leader dei democratici ha risposto: «Se non ha nulla da dire lui... io resto convinto che non possiamo stare all'increspature. Seguo con relativo interesse questi abboccamenti, la crisi è conclamata, noi faremo anche le iniziative parlamentari necessarie, ma adesso basta».

Fonte: Corriere.it

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