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I poli si sciolgono ma gli inverni sono più rigidi. Sbagliato dare la colpa al sole?


Nell’epoca del surriscaldamento globale la comunità scientifica è divisa tra chi imputa all’uomo la responsabilità dei cambiamenti climatici degli ultimi anni, ed ha spesso chiesto ai governi di adottare misure concrete per la soluzione del problema, e chi invece non crede alle teorie dei gas serra, ma vede il riscaldamento globale come l’effetto dell’attività solare e di altri fattori costituiti da cause naturali.Intanto mentre ai poli della Terra si parla di scioglimento dei ghiacciai, una ricerca dell’Imperial College di Londra, guidata dalla fisica Joanna Haigh, ha osservato che l’Europa sta attraversando un periodo di inverni sempre più rigidi e ciò in corrispondenza di un massimo dell’attività solare.Queste osservazioni hanno portato a pensare che il ruolo del Sole negli ultimi anni sia stato sovrastimato: “Quando ho visto i risultati ho pensato che avessimo sbagliato i conti – ha ammesso la Haigh –. Se ulteriori studi confermeranno lo stesso modello dopo un lungo periodo di tempo, potremmo aver sovrastimato il ruolo del Sole nel riscaldamento del pianeta”.

L’attività solare si articola in un ciclo di circa 11 anni, passando da un regime di massima attività ad uno di minima, cioè cambiano in intensità le radiazioni che giungono fino alla Terra e che ne influenzano il clima. Paradossalmente il periodo di minima attività solare potrebbe portare ad un aumento di temperature sul nostro pianeta, al contrario di quanto pensato finora dagli scienziati. Se questa scoperta si rivelasse esatta gli scettici su tale argomento non avrebbero comunque di che star sollevati, come la stessa Haigh ha affermato, infatti se al massimo dell’attività il Sole influisce sul clima terrestre con un abbassamento delle temperature, deve essere vero anche il contrario, cioè che nei periodi di minima attività solare ci sia un riscaldamento: “Non si può considerare il fenomeno in un aspetto e non nell’altro”, ha spiegato la Haigh.

Inoltre ha sottolineato come i gas serra in continuo aumento nell’atmosfera, dovuti alle attività umane, siano al minimo 10 volte superiore ai cambiamenti dell’intensità del Sole. “Non abbiamo alcun motivo, in questo momento, di cambiare il nostro punto di vista riguardo ai contributi che le variazioni della radiazione solare hanno sui cambiamenti climatici, non su scala globale, ma su scale regionali e in particolare in Europa”, ha spiegato Mike Lockwood, un astrofisico della University of Reading. Il Sole alle medie latitudini può influenzare il clima in maniera molto diversa, poiché controlla le correnti a getto, dei venti zonali che fluiscono da ovest verso est nell’emisfero boreale e australe e che si muovono tra masse d’aria adiacenti aventi temperature anche molto diverse, influenzando così il tempo.

Una variazione delle correnti a getto in Europa è responsabile quindi di cambiamenti climatici significativi, come l’inverno molto freddo dell’ultimo anno e la difficoltà di dispersione delle polveri emesse dall’eruzione del vulcano Eyjafjajökull, che si sono spostate verso sud impedendo il regolare traffico aereo nel continente. Oltre al cambio di attività ogni 11 anni, il Sole è soggetto ad un altro ciclo della durata tra i 200 e i 300 anni, e Lockwood ha spiegato che “questo implica, alla luce degli effetti regionali, che potremmo tornare indietro alle temperature di quella che fu una piccola era glaciale, – un periodo di temperature molto basse in Europa tra il 1600 e il 1800 – quindi ci troviamo davanti al paradosso che nel mondo del riscaldamento globale, avremo inverni più rigidi in Europa, mentre sarà decisamente più caldo in Groenlandia”.

I dati raccolti tra il 2004 e il 2007 dal satellite Sorce della Nasa, per lo studio della radiazione solare e del clima, hanno permesso di osservare l’intero spettro solare, mostrando che il mix delle differenti lunghezze d’onda della luce è molto diverso da come era stato immaginato, infatti l’intensità dei raggi ultravioletti era 6 volte minore di quanto aspettato per quel periodo di osservazione, mentre la luce nel visibile era decisamente superiore. Una diminuzione in intensità dei raggi ultravioletti implica la difficoltà di formazione dell’ozono nella parte più alta dell’atmosfera, provocando così un aumento di temperature sulla Terra. La Haigh ha poi affermato che “penso sia il caso di guardare in questa direzione”, per poter capire se i dati sul riscaldamento globale, ed il raffreddamento europeo, collegati all’attività solare siano un comportamento normale della nostra stella o un’anomalia i cui effetti sono ancora da comprendere.


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