TERZIGNO - Si aggirava sul territorio già da mesi. Intorno ai centri abitati, ai piedi di scuole e uffici, a ridosso di mercati, parchi residenziali. Alitava di nuovo sulla vita di Napoli, e soprattutto sulle province che dalla costa all'hinterland vesuviano fino alla piana del casertano, condividono la croce dell'urbanizzazione selvaggia, di uno smaltimento in sofferenza, di una raccolta differenziata carente. Poi, da settimane, l'occupazione del territorio si è fatta marcata e costante. E la belva dai mille volti e nessuno, è tornata. Emergenza 2010. Immondizia ancora nel cuore di Napoli, rifiuti su enormi distese in provincia. Nell'anno diciassettesimo dal primo commissariamento. Ci vogliono almeno 25 milioni "per tornare alla normalità, almeno a Napoli. Sono i fondi che, in proporzione maggiore, sono stati versati a Roma e ad altre grandi città per la differenziata", scandisce il manager di Asìa Napoli, Daniele Fortini, capo dell'azienda comunale della raccolta rifiuti. Qui, chi li mette?
Una crisi che stavolta si stenta a riconoscere. Il copione non prevede lo scatto di salvatori dall'alto. Ma banchi di immondizia e rimpallo di responsabilità. A cominciare da Roma, a cui sembrava bastasse approntare il decreto 195/2009 per dichiarare chiuso lo stato di emergenza, e morto il pericolo. Fingendo, ad esempio, che la Provincia di Napoli, guidata da un coordinatore cittadino e parlamentare Pdl, Luigi Cesaro, fosse pienamente pronta e partecipe. Come se da quel Palazzo non fosse stato già
inviato un sos pubblico, in una conferenza dello scorso dicembre, quasi un anno fa. "Così, da soli, con i tempi e le risorse previste da Bertolaso, non ce la faremo mai. Finiremo in un imbuto, meglio un anno di proroga e una deroga al patto di stabilità". Richieste non raccolte, né respinte del tutto, a Roma. Ma solo sospese. Lasciate a marcire. Come i rifiuti. E la belva si riprende i suoi spazi.
Spalmati o compressi, sono tornati. Rifiuti ovunque, anche se in addensamenti variabili. Oltre le tabelle ufficiali, si contano poco meno di mille tonnellate "disperse" tra centri abitati e strade statali. Basta andare e osservare. Si può partire anche dal cuore di Napoli, a ridosso del corso Garibaldi, dove tra uno sversamento fuorilegge e il perimetro di una scuola, scorgi i topi di giornata schiacciati. Si può continuare in periferia. Cumuli non ancora evasi nella ferita distesa di cemento di Scampia. Masserizie e scarti abbandonati. Ci sono sacchetti sbranati dai cani e una collinetta di scarti industriali all'estremo est di Gianturco; e conti centinaia tra tavoli, televisori, computer, infissi, carcasse di auto, persiane, tapparelle, sanitari, porte e divani nel lembo ovest di Bagnoli e di Cavalleggeri. Proprio qui, in via Campegna, una donna settantenne che vive sola, Gaetana Origine, racconta l'inutile sfida: "Per tre o quattro giorni conservo in casa i miei sacchetti, consumo poco. Ma esco fuori e vedo l'enorme discarica. Piena. Non si respira, appena metto il naso fuori".
In alcuni comuni fallisce persino la raccolta differenziata, affidata a società poi interdette dalle normative antimafia. Un miracolo al contrario: dove prima c'erano i cassonetti, come nel centro storico di Ercolano, ora dilagano montagne di sacchetti. Scene da paesi sottosviluppati. Non è solo l'inciviltà di alcuni. "È stata forse un'utopia - ragiona qualche sindaco - passare da zero differenziata a tutto differenziata, si volevano mettere "le carte a posto" troppo presto".
L'unica differenza, rispetto ai giorni più bui del disastro ambientale, è la tattica della rimozione a fisarmonica: l'immondizia in esubero sosta due giorni, poi sparisce, poi si accumula di nuovo per molte ore. Autentiche discariche funzionano con questo sistema, a pieno regime e a cielo aperto. Riposano indisturbate nei comuni di Giugliano, Melito, Casoria e dell'aversano. Sono lunghe chilometri. A Giugliano, in via Treponti, quelle tonnellate sono incredibilmente divise per "reparti", categorie merceologiche. Il pezzo di strada dedicato agli scarti di pellami lavorati. Il cimitero dei computer. Il camposanto delle scarpe. E quello dei televisori.
Intanto gli impianti di trattamento e di sversamento sono in sofferenza. Almeno due discariche, quella di Chiaiano e cava Sari di Terzigno, risulteranno già sature a febbraio. Tanti nodi, fanno la crisi dell'anno 17esimo. Ma il presidente del Consiglio trova il bandolo della matassa. "Il problema dei rifiuti a Napoli ha il nome di Rosa Russo Iervolino e dell'amministrazione di sinistra incapace di far funzionare la raccolta", tuona il premier da Milano. La replica arriva con pacatezza da Fortini: "Il presidente Berlusconi e il dottor Bertolaso sanno bene che hanno lasciato una situazione dieci mesi fa che andava immediatamente presa in mano dai soggetti a cui era stata affidata. Abbiamo 5 o 6 mesi prima della saturazione delle discariche. Se ci muoviamo subito, bene. Ma se continueremo con il rimpallo di responsabilità avremo una crisi gravissima". La belva non riposa mai.
Fonte: Repubblica.it
---Se hai trovato interessante l'articolo iscriviti ai feed via mail per rimanere sempre aggiornato sui nuovi contenuti del blog
0 commenti to " Napoli, tra cumuli e topi per strada La provincia è ostaggio dei rifiuti "