L’ultimo è Gianni Lannes, direttore del giornale online Terranostra, impegnato in inchieste su navi dei veleni e inceneritori. La sua auto è saltata in aria venerdì scorso a Orta Nuova, a 23 chilometri da Foggia. A luglio gli avevano messo a fuoco un’altra auto. Prima di lui Alessandro Bozzo di Calabria Ora, Angelo Civarella della Gazzetta del Mezzogiorno, Josè Trovato del Giornale di Sicilia. Cinque solo nell’ultimo mese. Attentati, minacce, intimidazioni. Sono oltre quaranta i giornalisti nel mirino delle mafie. Giornalisti, non eroi. Dieci, quelli che vivono sotto scorta. Li ha documentati, a luglio, il Rapporto Ossigeno dell’Osservatorio Fnsi sui giornalisti minacciati e le notizie oscurate. E da quando i loro nomi sono apparsi in massa sul sito dell’Fsni il numero di quelli che raccontano è aumentato. Il primo obiettivo dell’Osservatorio è stato raggiunto: non lasciar soli e far conoscere i protagonisti delle vicende meno eclatanti.
11 GIORNALISTI UCCISI IN 40 ANNI - «Non bastano gli allarmi» dice Alberto Spampinato, quirinalista dell’Ansa e fratello di Alberto, ucciso nel 1972 per le inchieste pubblicate da l’Ora di Palermo su eversione nera, malavita e mafia. «L’idea dell’Osservatorio è nata dalla mia esperienza, emblematica delle storie di altri giornalisti uccisi, 11 in quarant’anni, e delle dinamiche che si riproducono nelle vicende, più note di quelli che stanno vivendo sotto scorta». Il fenomeno è più esteso di quanto si possa dedurre.
«Riguarda soprattutto i cronisti impegnati nei territori a forte radicamento mafioso ma è un problema che si riflette sull’informazione nazionale: le mafie usano la violenza per proteggere i propri affari impedendo che le notizie arrivino all’opinione pubblica». L’attenzione si accende quando scoppiano casi come quello di Roberto Saviano, Lirio Abbate, Rosaria Capacchione o Pino Maniaci. I più, però, non superano la gerarchia di notizia locale. Neppure quando il Tribunale di Napoli condanna due camorristi denunciati da Arnaldo Capezzuto per le intimidazioni subite durante un processo, come è accaduto la scorsa estate. Per garantire il diritto all’informazione e maggior solidarietà dalla stessa stampa (“la scorta efficace contro ogni rischio”, l’Osservatorio ha in cantiere uno studio per monitorare la censura violenta. «Le inchieste degli anni 80 non si fanno più», continua Spampinato.
«LA STAMPA HA ABBASSATO LA GUARDIA» - «La stampa nazionale ha abbassato la guardia. E questo permette alle mafie di intervenire sugli affari in corso, cercando di zittire chi li porta alla ribalta. Non basta segnalare i nomi, gli attentati. L’Osservatorio è nato anche per studiare le cornici in cui la criminalità reclama l’omertà dell’informazione». E dei suoi “avamposti”. Giornalisti delle testate locali, spesso giovani collaboratori a poche decine di euro il pezzo.
Alcune di queste storie le hanno raccolte Roberto Rossi, redattore di Ossigeno e redattore di Problemi dell’informazione, e Roberta Mani, caporedattore di Studio Aperto, in un documentario, Avamposti appunto, realizzato in Calabria e appena montato di cui mettiamo in linea un’anticipazione. Otto storie in quaranta minuti. Da Gioia Tauro, Vibo Valenzia, Crotone ma anche da piccoli centri come Cinquefondi, parlano i cronisti dell’Ora di Calabria, della Gazzetta del Sud, del Quotidiano della Calabria. Angela Corica, 25 anni e 5 pallottole contro la sua auto per un’inchiesta sui rifiuti. Leonardo Rizzo, 3 bottiglie moltov e sei bossoli sulla finestra, Agostino Pantano, le gomme dell’auto tagliate. Antonio Sisca, lettere e bossoli per i suoi pezzi sulle morti di lupara bianca. Dimostrano come non sia necessario cercare lo scoop. Basta raccontare la cronaca. Imbattersi in un edificio fatiscente in centro citta, sotto gli occhi di tutti, e chiedere perché da dieci anni nessuno riesce a espropriarlo, come ha fatto Giuseppe Baglivo: 33 anni e due bossoli in una busta per i suoi articoli su un palazzo divorato dai rovi a Vibo Valentia.
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11 GIORNALISTI UCCISI IN 40 ANNI - «Non bastano gli allarmi» dice Alberto Spampinato, quirinalista dell’Ansa e fratello di Alberto, ucciso nel 1972 per le inchieste pubblicate da l’Ora di Palermo su eversione nera, malavita e mafia. «L’idea dell’Osservatorio è nata dalla mia esperienza, emblematica delle storie di altri giornalisti uccisi, 11 in quarant’anni, e delle dinamiche che si riproducono nelle vicende, più note di quelli che stanno vivendo sotto scorta». Il fenomeno è più esteso di quanto si possa dedurre.
«Riguarda soprattutto i cronisti impegnati nei territori a forte radicamento mafioso ma è un problema che si riflette sull’informazione nazionale: le mafie usano la violenza per proteggere i propri affari impedendo che le notizie arrivino all’opinione pubblica». L’attenzione si accende quando scoppiano casi come quello di Roberto Saviano, Lirio Abbate, Rosaria Capacchione o Pino Maniaci. I più, però, non superano la gerarchia di notizia locale. Neppure quando il Tribunale di Napoli condanna due camorristi denunciati da Arnaldo Capezzuto per le intimidazioni subite durante un processo, come è accaduto la scorsa estate. Per garantire il diritto all’informazione e maggior solidarietà dalla stessa stampa (“la scorta efficace contro ogni rischio”, l’Osservatorio ha in cantiere uno studio per monitorare la censura violenta. «Le inchieste degli anni 80 non si fanno più», continua Spampinato.
«LA STAMPA HA ABBASSATO LA GUARDIA» - «La stampa nazionale ha abbassato la guardia. E questo permette alle mafie di intervenire sugli affari in corso, cercando di zittire chi li porta alla ribalta. Non basta segnalare i nomi, gli attentati. L’Osservatorio è nato anche per studiare le cornici in cui la criminalità reclama l’omertà dell’informazione». E dei suoi “avamposti”. Giornalisti delle testate locali, spesso giovani collaboratori a poche decine di euro il pezzo.
Alcune di queste storie le hanno raccolte Roberto Rossi, redattore di Ossigeno e redattore di Problemi dell’informazione, e Roberta Mani, caporedattore di Studio Aperto, in un documentario, Avamposti appunto, realizzato in Calabria e appena montato di cui mettiamo in linea un’anticipazione. Otto storie in quaranta minuti. Da Gioia Tauro, Vibo Valenzia, Crotone ma anche da piccoli centri come Cinquefondi, parlano i cronisti dell’Ora di Calabria, della Gazzetta del Sud, del Quotidiano della Calabria. Angela Corica, 25 anni e 5 pallottole contro la sua auto per un’inchiesta sui rifiuti. Leonardo Rizzo, 3 bottiglie moltov e sei bossoli sulla finestra, Agostino Pantano, le gomme dell’auto tagliate. Antonio Sisca, lettere e bossoli per i suoi pezzi sulle morti di lupara bianca. Dimostrano come non sia necessario cercare lo scoop. Basta raccontare la cronaca. Imbattersi in un edificio fatiscente in centro citta, sotto gli occhi di tutti, e chiedere perché da dieci anni nessuno riesce a espropriarlo, come ha fatto Giuseppe Baglivo: 33 anni e due bossoli in una busta per i suoi articoli su un palazzo divorato dai rovi a Vibo Valentia.
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